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Menopausa e pensiero della differenza Una riflessione bioetica

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Academic year: 2020

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MENOPAUSA E PENSIERO DELLA

DIFFERENZA

UNA RIFLESSIONE BIOÉTICA

Francesco D'Agostino

1. Della menopausa si occupano diverse scienze: dalla fisiologia alla medicina (in parecchie delle sue molteplici dimen-sioni), dalla psicologia alla demografia fino all' antropologia culturale. E se ne occupa anche la bioetica. Dire però in che senso se ne occupi la bioetica non è di per sé facile. La difficoltà di trattare bioeticamente la menopausa dipende in primo luogo dal fatto che la stessa valenza bioetica di questo concetto non è percepita immediatamente come chiara (il che equivale a dire che non è affatto facile definire bioeticamente la menopausa). Che cosa la menopausa sia per la biologia e in generale per qualsiasi scienza non è difficile a convenirsi: è in primo luogo un evento,

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merite-vole di una qualche attenzione scientifica, sia cioè adeguatamente rigoroso?

2. Si tratta di una difficoltà non indifferente, ma di per sé non inedita; e comunque il prenderne coscienza può essere molto utile, perché ci consente di individuare la pista da seguire per giungere a un qualche utile risultato. Infatti, la difficoltà che si incontra a tematizzare bioeticamente la menopausa non differisce, in buona sostanza, da quella che deve affrontare chiunque tema-tizzi la differenza sessuale, per trarne indicazioni etiche e operative.

La differenza sessuale è insieme fattualità e simbolo. Ma è anche -lo sappiamo benequalcosa di più: è uno dei più grandi problemi normativi ci cui abbia preso coscienza la modernità. E' per questo che la mera considerazione fattuale del problema e la sua mera considerazione psicologica risultano cognitivamente insoddisfacenti (come ormai -sia pur a volte confusamente-viene avvertito da tutti). Una riflessione bioetica sulla menopausa deve quindi, e con una certa urgenza, venire ad inserirsi in questo orizzonte epistemico di riflessione. Il progresso del sapere bio-medico in questo campo, le nuove possibilità di alterare la meno-pausa come processo fisiologico e come dinamica simbolica - e quella al limite di abolirla- alterano inevitabilmente la nostra percezione della differenza tra i sessi. Nel 1864 Elizabeth Farnham scriveva: "La vita degli uomini è fisiologicamente divisa in due parti: giovinezza e maturità. Quella femminile in tre parti: prematerna, materna e postmaterna. E' quest'ultima che determi-na, in maniera innegabile, la superiorità delle donne"1. Possiamo

continuare non dico a condividere, ma almeno a formulare una indicazione del genere?

3. Prima ancora che operare in senso strettamente cognitivo (cioè per ciò che può dirci sulla menopausa come problema)

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il richiamo alla differenza sessuale si impone per la sua valenza paradigmatica (esso cioè ci aiuta a percepire come strutturare in generale il nostro pensiero). Esso, infatti, come si è rapidamente accennato in precedenza, si mostra intriso di normatività; e questa normatività è peraltro tutt'altro che banale ed innocente ed è necessario sforzarsi di portalla alla luce. Essa infatti costituisce una forma (per alcuni la più evidente o addirittura la forma originaria) dello stesso pensiero della differenza.

Per pensiero della differenza si intende una specifica modalità di conoscenza del mondo e più in generale dell'ordine delle cose; quella modalità che assume come necessario apriori del cono-scere un processo di distinzione. Senza distinzione non è possibile elaborare nessun processo cognitivo; la distinzione separa la figura, sulla quale si concentra l'intenzionalità cognitiva, dalla sfondo, che viene abbandonato all'ambito dell'irrilevante (per la dinamica cognitiva in atto). La distinzione opera pertanto inclu-dendo ed escludendo e di conseguenza essa nel momento stesso in cui rende possibile la cognizione attiva la normatività. Ciò che è incluso è nel medesimo tempo conosciuto e meritevole di essere conosciuto; ciò che è escluso viene negato sul piano della cogni-zione fattuale e nello stesso tempo dichiarato immeritevole di un autentico approccio cognitivo.

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"prototipo", un "modello"); in breve, cristallizza una asimmetria e offre in tal modo il presupposto cognitivo della normatività. E l'asimmetria -proprio in quanto non è mera specularità- chiede necessariamente di essere gestita; il che significa, al limite, che può essere rovesciata, ma non negata o abolita.

La differenza tra i sessi è percepita attraverso una distinzione cognitiva fondamentale. Si distingue tra i sessi così come si procede alla costruzione di qualsiasi altra grande dicotomia; e l'inevitabile risultato di questa distinzione si è tradotto -inevita-bilmente, se quanto si è appena detto ha un senso- in una cruda dialettica e di fatto in un primato gerarchico di un sesso rispetto all'altro. Nel confronto storico e simbolico tra i sessi, questa dialettica si è espressa a volte in passato rovesciando drastica-mente i rispettivi ruoli dei maschi e delle femmine: si pensi ad es, al tema ricorrente delle "donne guerriere", le Amazzoni o le eroine dei poemi cavallereschi, esatto pendant del tema del maschio imbelle, in quanto sprofondato nell'ozio o nello studio (ma otium e studium sono fondamentalmente la stessa cosa). Questo rovesciamento non ha mai però negato la gerarchizza-zione nel rapporto tra i sessi (che è effetto indotto dal processo cognitivo della sessualità attivato per il tramite della medesima distinzione); si è semplicemente limitato a cambiarne il segno. Ed è in questo, come tutti sanno, che consiste il problema femminile; come recuperare una distinzione tra il maschile e il femminile che infranga la logica della gerarchizzacione? Come instaurare una distinzione tra i sessi che non si traduca in un sistema di potere (dell'uomo sulla donna, secondo il modello tradizionale, della donna sull'uomo, secondo l'esito inevitabile del rovesciamento del paradigma)?

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fertile, giunta alla pienezza della propria espressione sessuale, la bambina appare contrassegnata da una dimensione di mancanza, di non-ancora, di possibilità, inevitabilmente più povera. La distinzione tra donna fertile e donna non più fertile à ancora più dura, perché il non-poter-più prende il posto del non-ancora, Insomma, nella considerazione cognitiva delle età della donna la fertilità opera come il versante positivo della distinzione e la perdita della fertilità indotta dalla menopausa ne rappresenta il versante specularmente negativo (a livello di psicologia sociale da questo dato sono derivate prassi culturali per noi a dir poco sorprendenti; presso i Nuer, una tribù dell'Africa del Nord-Ovest, la donna non più mestruata perde la stessa identità femminile e muta di conseguenza la propria identità sociale... può addirittura "prender moglie"). Di qui -inevitabilmente- la proiezione sulla menopausa di una evidenza di negatività, che con ogni probabilità sta a fondamento della più generale evidenza di negatività riconnessa storicamente alla condizione femminile. L imbecilli-tas sexus di cui discorrevano gli antichi scolastici era ovviamente ritenuta intrascendibile e irremovibile, in quanto iscritta, attra-verso i segni indotti dal tempo nel corpo stesso delle donne. Da evento infrafemminile, la menopausa assurge a elemento strutturante la distinzione tra i sessi: la donna è percepita come distinta dall'uomo anche e soprattutto perché il tempo incide sulla sua identità sessuale (sulla sua fecondità) in modo oggettivo; perché - a differenza dell'uomo- la donna è condannata alla vecchiaia.

Ma la biomedicina ha mandato in frantumi questa consolidata convinzione: da destino biologico, la menopausa già appare e sempre più apparirà alla stregua di una mera contingenza. Gli effetti simbolici di questa nuova situazione restano al di fuori di queste nostre considerazioni. Ma cosa dire dei suoi possibili effetti normativi (gli unici rilevanti sul piano bioetico)?

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l'aboli-zione della menopausa venga pensata e comunque implichi un guadagno in termini di generica "giovinezza" e quindi di "salute" e che di conseguenza vada ritenuta alla stregua di una acquisi-zione, anzi di una conquista assiologicamente preziosa (nei limite in cui si considera prezioso, anzi preminente, il diritto alla salute). Ma se è vero che la menopausa rileva anche sul piano della distinzione maschile/femminile, la sua (eventuale) abolizione implica per le donne qualcosa di più; implica per esse l'impos-sibilità di oggettivare la distinzione biologica giovane/vecchio, esattamente come avviene per il sesso maschile, per il quale appare ben possibile, anche se fattualmente è da ritenersi raro, il prolungarsi della fertilità fino ad età avanzata. Crolla, nel suo preteso fondamento biologico, l'ideologia della imbecillitas sexus.

Ma poiché non per questo viene meno la differenza tra i sessi, ciò che consegue da questo processo è il determinarsi di una nuova possibilità, quella dello stabilirsi di una gerarchia rovesciata. La donna, che -come il solo sesso abilitato alla gestazione- posiede già un di più nella dinamica procreativa, acquista inevitabilmente -nel momento in cui abolisce ogni vincolo temporale alla propria fecondità- una identità gerarchicamente prevalente su quella maschile. Anche se non è probabile che la maggior parte delle donne intenda utilizzare a fini procreativi le nuove possibilità offerte dalla biomedicina (così come del resto la maggior parte degli uomini evita consapevolmente la paternità in età avanzata, anche quando la natura gliene offirebbe l'occasione) resta questa, comunque, una posibilita di principio che altera inevitabilmente l'identità del principio femminile, in quanto colta come contro-luce del principio maschile. Si modifica inevitabilmente la stessa distinzione cognitiva tra i sessi.

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tabili esasperazioni femministiche2- molti saranno indotti a porre

la questione esattamente in questi termini. Quello che è certo è che nei limiti in cui la battaglia contro la menopausa verrà davvero vinta sul piano della biomedicina i suoi effetti inevitabil-mente si tradurranno nella prassi e che, come la storia ormai già sufficientemente lunga della bioetica ci dimostra, nessuna controspinta sarà mai in grado di impedire alla tecnica di fare ciò che può fare. Il problema di una bioetica della menopausa non è pertanto quello di attivare resistenze, peraltro inevitabilmente destinate al fallimento, bensì di dare espressione a più adeguate forme di coscienza. In questa prospettiva, è possibile individurare -sulla scorta di quanto osservato in precedenza- lungo quali direttive sarà necessario concentrare gli sforzi.

In primo luogo, sarà necessario pensare in quale modo l'alterarsi del pensiero della differenza dei sessi comporterà l'affermarsi di una nuova specificità del femminile. Sul punto le ipotesi sono innumerevoli. Resta però fermo -in base alle premesse epistemologiche sopra indicate- che tale eventuale nuova specificità non potrà alterare in alcun modo il pensiero della differenza in quanto tale. Il femminile potrà avvantaggiarsi del mutamento prospettivo indotto dalla biomedicina per acquisire a proprio vantaggio il primato assiologico di cui ha storicamente goduto il sesso maschile. A parte l'immagine di vendetta storica che tale evento porterebbe inevitabilmente con sé, è ben discutibile che ad esso corrisponderebbe un autentico progresso, sia cognitivo che assiologico, dato che ciò che nel modello tradizionale del rapporto tra i sessi è venuto in questione non è tanto il primato (indebito) di quello maschile, quanto il principio stesso di una gerarchizzacione. Ove questo rovescia-mento epocale venisse a realizzarsi, spetterebbe agli uomini assumere il compito di recriminare contro le pretese indebite

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dell'altro sesso -la gerarchizzacione, come principio effettuale, non ne risulterebbe scalfita sotto alcun profilo.

Si può indubbiamente ipotizzare un altro scenario: quello secondo il quale la vittoria contro la menopausa possa acquistare la valenza simbolica di un trionfo del principio dell'eguaglianza non biologica, ma sociale rispetto a quello della differenza. Il discorso si allontana da valutazioni specificamente bioetiche e ad esso di può quindi in questo contesto semplicemente alludere. Ma non va comunque ignorato l'ammonimento avanzato al riguardo da Luhmann, quando osserva che lo stabilirsi ideologico dell'eguaglianza tra i sessi funziona da ideologia di una merito-crazia repressiva: "chi infatti, uomo o donna, non riesce in niente, è esso stesso colpevole"3.

Resta un'ultima pista per la riflessione, probabilmente però la più fruttuosa. Si tratta di svincolare il tema della menopausa dal discorso sulla specificità del principio femminile (nella sua eterna dialettica col principio maschile) e riattivarlo in una diversa logica del pensiero della differenza, che attivi il confronto nei termini di una diversa dualità, non più appunto quella uomo/ donna, bensì quella madre/figlio. L'asimmetria che ogni pensiero della differenza attiva inevitabilmente può operare in questo diverso contesto in modo molto fruttuoso. Se la donna fertile è comunque -in quanto madre- altra rispetto al bambino che da essa è destinato a nascere, la donna non fertile -rispetto a un suo ipotetico figlio, magari ardentemente desiderato- è altra in un senso profondamente diverso: è altra perché la maternità le è preclusa. Il carattere fisiologico della preclusione ne occulta indebitamente un ulteriore aspetto, indubbiamente morale. Ora, è indubbio che quello che fino ad oggi possedeva la valenza di una mera e stringente indicazione biologica potrebbe anche cessare di essere tale. Ma potrebbe ciò non di meno riacquistare tale valenza

3. H. LUHMANN, Frauen und Mànner und Georg Spencer Brown, in "Zeitschrift fiir Semiologie", 17, n. 1, 1988; tr. it. in LUHMANN, Donne/

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su di un piano non biologico, ma etico: non per ragioni fattuali (perché fisiologicamente sterile) alla donna anziana sarebbe pre-clusa la gravidanza, ma per ragioni strettamente etiche, attivate dal diverso manifestarsi dell'alterità madre/figlio nel caso di età avanzata della madre (la donna verrebbe in altri termini a trovarsi in una situazione da essa finora non conosciuta, ma ben presente agli uomini, cioè nella medesima situazione etica di un uomo in età avanzata, deciso responsabilmente a precludersi ogni possibile occasione di paternità).

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