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F Viola, G Zaccaria Diritto e interpretazione Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto Laterza, Roma Bari, 1999, VII + 480 pp

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ermeneutica del diritto, Laterza, Roma-Bari 1999, pp. VII+480.

1. La pubblicazione de Il concetto di diritto da parte di Herbert Hart rappresenta probabilmente il momento di passaggio dalle "teorie giuridiche di ieri" alle "teorie giuridiche di oggi". Le prime identifican o il diritto: « ... con un oggetto d' esperienza isolabile e descrivibile»!; quindi, di volta in volta il diritto sara un insierne di norme, o un insieme di fatti, o un insieme di valori, la cui esistenza prescinde completamente sia dall'intervento dell'interprete sia dagli atteggiamenti di coloro i cui comportamenti il diritto si propone di regolare. Ronald Dworkin afferma correttamente che tutte queste teorie escludono in modo ingiustificato la possibilita di un "disaccordo teoretico" sul diritto: esse, in breve, negano che la doman da "che cos'e il diritto?" possa ammettere una plural ita di risposte, proprio perché il diritto e in qua1che modo un oggetto descrivibile in modo neutrale. Le teorie giuridiche di ieri, insornma, sembrano afflitte dall'''assillo semantico", secondo cui sarebbe improduttivo discutere di qualsivoglia argomento, nel nostro caso del diritto, in presenza di un disaccordo teoretico circa l' oggetto di cui si parla. Esse, in conclusione, sono accomunate dalla tesi secondo cui il diritto, visto come un oggetto, e un presupposto necessario dell' attivita conoscitiva, piuttosto che l' esito, non definitivo, ma perennemente mutevole, di una pratica interpretativa2 . In al tri termini, tali teorie condividono un atteggiamento metateorico di tipo oggettualistico.

Le teorie giuridiche di oggi, al contrario, sottolineano con forza l'impor-tanza della dimensione pratica del diritto e, di conseguenza, l' insufficienza di tutte quelle ricostruzioni del fenomeno giuridico che guardano al diritto come ad un oggetto passibile di conoscenza prettamente teorica e che mettono tra parentesi il "punto di vista pratico", il punto di vista, cioe, di chi considera il diritto come una ragione per l' azione.

11 contributo precipuo di Hart aquesta "svolta" relativa al modo di intendere il diritto deve certamente rinvenirsi nella sua analisi delle regole sociali. I comportamenti regolari o abitudinari e quelli regolati, cioe basati su

1. F. VIOLA, G. ZACCARIA, Diritto e interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, cit., p. 32.

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regole, condividono l'aspetto esterno, vale a dire la regolarita, empiricamente rilevabile, di comportamenti convergenti. Di conseguenza, un'analisi mera-mente behaviourista non e in grado di distinguere tra abitudini e regole. Le regole, pero, a differenza deBe abitudini, presentano anche un aspetto interno. Hart, per spiegare in cosa consista tale aspetto interno, ricorre al ben noto esempio del gioco degli scacchi. Affermare che i giocatori di scacchi hanno l'abitudine di muovere i pezzi sulla scacchiera in un certo modo non costituisce una descrizione adeguata della loro attivita. I giocatori, infatti, non si limitano a compiere certe mosse, ma hanno anche delle idee e delle convinzioni riguardo a cio che le regole del gioco permettono o proibiscono di fare. Tali idee si manifestano attraverso la richiesta di conformita e l'accettazione delle critiche altrui nel caso in cui si sia deviato dalla regola. Le frasi usate in questi casi appartengono al linguaggio normativo: "non avresti dovuto muovere in que sto modo", "questa mossa e sbagliata" e cosi via. Hart, pero, come ho detto in precedenza, rappresenta la linea di demarcazione tra le teorie giuridiche di ieri e quelle di oggi. Se da un lato, infatti, egli riconosce che una ricostruzione teorica del diritto debba prendere in considerazione l'atteggiamento di coloro che partecipano alla pratica giuridica in questione, dall'altro afferma che cio non implica che lo studio dei fenomeni sociali, e del diritto in particolare, debba essere inteso in modo radicalmente diverso rispetto a come era inteso in passato. In breve, per Hart il compito deBo studioso del diritto rimane sempre quello di descrivere, in modo neutro ed avalutativo, una re alta che e gia compiutamente data prima di qualsiasi attivita interpretativo-ricostruttiva e, cosi, egli mostra inequivocabilmente di non essersi liberato da quell'assillo semantico di cui parla Dworkin.

L'aspetto di maggiore novita delle teorie giuridiche di oggi e rappresentato dalla presa. di coscienza che tra l'attivita del descrivere e l'oggetto da des-crivere -cioe il diritto- non vi e soluzione di continuita. Per dirla con Giuseppe Zaccaria: «la positivita, infatti, non puo certo prescindere dai documenti legislativi, ma in es si non si lascia neppure completamente conchiudere»3. Cio e ben esemplificato dall'idea dworkiniana di interpretazione costruttiva: quando si interpreta una pratica sociale, bisogna prendere le mosse da quei valori che l'interprete ha individuato come i valori di riferimento dei parte-cipanti alla pratica in questione, ed il risultato dell'attivita interpretativa sara tanto piu adeguato quanto piu l'interprete sara stato in grado di armonizzare i comportamenti e le regole della pratica con lo scopo ed i valori della pratica stessa. In breve, il compito deB' interprete e quello di porre l' oggetto della sua

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attivita nella luce migliore. 11 compito dello studioso del diritto, sostiene Dworkin, e per molti versi analogo a quello di un critico letterario che, per esprimere un giudizio su un romanzo, de ve pregiudizialmente individuare la chiave di lettura che a suo giudizio e la migliore possibile. L'interprete, quindi, aggiunge al datum da interpretare qualcosa di sUO. Aquesto riguardo, Francesco Viola e Giuseppe Zaccaria sottolineano opportunamente come, ad esempio: «l'interpretazione decadentistica e romantica di Svjatoslav Richter del Concerto n. 2 di Johannes Brahms e diversa da quella razionale e oggettiva di Arturo Benedetti Michelangeli»4. Cio non significa, ed e importante sottolinearlo, che l'interprete sia libero di fare cio che vuole: come vedremo, l' attivita di interpretare un oggetto o una pratica preesistenti e attivita ben diversa, quantomeno per gli autori del libro che qui si commenta, rispetto a quella di creare qualcosa ex novo.

2. Queste brevi ma necessarie osservazioni introduttive contribuiscono a sgombrare subito il campo da un possibile equivoco, e cioe che il recente libro di Viola e Zaccaria sia soltanto un manuale sull'interpretazione giuridica. In realta, i due autori si cimentano nel ben piu ambizioso progetto di elaborare una teoria del diritto che permetta di giustificare, a partire da una prospettiva filosofico-generale di matrice ermeneutica, l' idea, per molti versi non controversa, che tra diritto e interpretazione vi sia un nesso particolarmente stretto. Si tratta di un'impresa di certo meritoria in quanto, molto spesso, tale idea viene assunta come un postulato. Dworkin, per fare solo un esempio, definisce il diritto come un fenomeno sociale che ha natura interpretativa, ma non si preoccupa né di sviluppare in modo piu articolato questa definizione, né di spiegare le ragioni per cui tra l'interpretazione ed il diritto vi sia una relazione piu stretta di quella che potrebbe esservi tra l'interpretazione e qualsiasi pratica sociale.

La ricchezza filosofica e concettuale del libro che qui si commenta e accresciuta dal fatto che la prospettiva filosofica di sfondo accoIta dai due autori e diversa, anche se compatibile: mentre Viola e d'ispirazione tomista, Zaccariá e piu direttamente influenzato dalla filosofia ermeneutica e da Gadamer in particolare. Gli apporti di queste due diverse tradizioni filosofiche risaltano in modo evidente rispettivamente nel"rimo e nell'ultimo capitolo.

E

certamente un merito degli autori essere riusciti a produrre un' opera unitaria e coerente, del tutto esente dai difetti che spesso accompagnano i lavori scritti a piu mani. Per questa ragione non si e ritenuto opportuno, in questo commento, trattare separatamente le parti scritte da Viola e quelle scritte da Zaccaria.

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11 libro di Viola e Zaccaria si articola in cinque capitolio Nel primo, a partire dalla distinzione, su cui ci siamo gia soffermati, tra teorie giuridiche di ieri e teorie giuridiche di oggi, viene difesa una particolare versione della tesi secondo cui: « .. .la finalita fondamentale del diritto e quella di coordinare le azioni dei cittadini in vista di una grande varieta di obiettivi»5. Questa tesi presuppone il giudizio di valore secondo cui: « ... governare in generale la propria esistenza con deliberazioni consapevoli della storia passata e delle prospettive future e un bene superiore al vivere alla giornata, cercando di trarre il massimo vantaggio dalle contingenze del presente»6. 11 fatto poi che tutte le societa facciano ricorso al diritto dimostra che questo giudizio di valore e ampiamente condiviso.

Riprendendo le tesi di John Finnis sul diritto come strumento di coordinazione sociale 7 , gli autori evidenziano alcune differenze tra la coordinazione di cui si parla nella teoria dei giochi e la coordinazione intesa come finalita propria del diritto. In particolare, nel caso del diritto la coordinazione si estende sino a ricomprendere situazioni in cui non vi e alcuna convergenza di interessi. Inoltre, il diritto non si propone come obiettivo soltanto quello di soddisfare, nel modo migliore possibile, gli interessi personali dei singoli individui, ma anche quello di conseguire risultati che siano appropriati ed equi. In questo senso, la coordinazione giuridica e, almeno in parte, basata sulla benevolenza, in quanto presuppon~ che il bene degli altri e la loro realizzazione rientri tra gli obiettivi personali di ciascuno. Un'altra caratteristica peculiare della coordinazione giuridica e l"'interdipendenza normativa"; tale nozione, tipicamente hartiana, indica che le aspettative che ciascuno ha nei confronti dei comportamenti degli al tri si basano, almeno in parte, sulla convinzione che essi abbiano un obbligo di comportarsi in un certo modo. La l~gittimita di tale convinzione e particolarmente evidente nei casi di coordinazione non pura, in quei casi, cioe, in cui alcuni potrebbero godere dei benefici della cooperazione senza sacrificare i loro interessi particolari. Quando si verifica una situazione del genere, bisogna decidere se collaborare, rischiando di essere sfruttati dagli altri, o non collaborare, rischiando di non raggiungere il risultato desiderato. Viola e Zaccaria sostengono che l'unica possibile soluzione di questo dilemma abbia carattere normativo: per godere dei vantaggi della cooperazione bisogna pagarne i costi. Sarebbe quindi

5. [vi, p. 46. 6. [vi, p. 64.

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proprio questo principio di giustizia a legittimare la convinzione di cui si diceva in precedenza8.

Su queste basi, gli autori sostengono che il modello verticistico della sovranita non permette di spiegare in modo soddisfacente la pratica giuridica tipica degli stati costituzionali contemporanei, pratica che, invece, e meglio rappresentata dall'idea di una comunita interpretativa -piu stabile e consa-pevole rispetto alla comunita liberal e di cui parla Dworkin- che ricerchi le soluzioni giuste al problema della con vi venza e della cooperazione.

Nel secondo capitolo viene presentata una compiuta teoria dell'inter-pretazione giuridica. Si tratta di una teoria, come dovrebbe essere ormai chiaro, che si pone a meta strada tra formalismo ed antiformalismo: inter-pretare non significa disvelare un significato gia completamente formato prima dell'¡¡.ttivita interpretativa, ma neanche stabilire un significato ex novo. In particolare, gli autori sono molto attenti a respingere le tentazioni di antiformalismo radical e che provengo no dal decostruttivismo o dal Critical Legal Studies. Viola e Zaccaria sottolineano, da un lato, l'unitarieta del metodo

interpretativo in tutte le scienze dello spirito -e, aquesto riguardo, si vedan o le osservazioni preceden ti sull' analogia tra interpretazione giuridica ed interpretazione letteraria- ma, dall' altro, evidenziano a1cune significative caratteristiche peculiari dell'interpretazione giuridica. In breve: l'interpre-tazione del diritto e un' attivita che racchiude in se stessa un aspetto di decisione e non sol tanto di conoscenza. L'interpretazione cioe e vista in funzione normativa, come: « ... un comprendere preordinato al fine di regolare l' azione» 9 . Si tratta di una specificazione della tesi, vista in precedenza, secondo cui non e possibile render conto del diritto mettendo tra parentesi il suo ineliminabile aspetto pratico. Dire questo, tuttavia, non implica l' accoglimento della tesi dworkiniana secondo cui la prospettiva dello studioso de ve essere appiattita su quella del giudice. Semplificando, nell'interpretazione dottrinale l' aspetto cognitivo non e gravato, a differenza di quanto non avvenga nel caso dell' interpretazione giudiziale, dall' esigenza di offrire una soluzione ragionevole per un caso concreto.

8. Contro questo argomento si veda J. COLEMAN, On the Relationship Between l.aw and Morality, "Ratio Juris", 2, 1989, pp. 66-78, in particolare p. 77.

9. F. VIOLA, G. ZACCARIA, Diritto e interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, cit., p. 113. Aquesto proposito

e

possibile rilevare delle interessanti convergenze tra la filosofía ermeneutica ed il pensiero del secondo Wittgenstein: «Ogni segno, da solo, sembra morto. Che cosa gli da vita? - Nell'uso, esso vive. Ha in sé l'alito vitale? - O l'uso

e

il suo respiro?». (L. WITTGENSTEIN,

Ricerchefilosofiche (1953), trad. di R. Piovesan e M. Trinchero, Einaudi, Torino 1967,

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Vi son o poi altre tre caratteristiche dell'interpretazione giuridica: 1) in ambito giuridico, quando si parla di interpretazione si presuppone necessa-riamente la possibilita di piu interpretazioni. Anche l'usuale distinzione tra casi facili e casi difficili fa senso solo se intesa come esito di una previa attivita interpretativa piuttosto che come suo presupposto. La nozione di second-order vagueness sta proprio ad indicare l'impossibilita di stabilire confini precisi tra casi facili e casi difficili 10; 2) l'interpretazione giuridica

e

sempre interpretazione di qualcosa (disposizioni legislative, interpretazioni precedenti e cosl via); 3) l'interpretazione giuridica e un'attivita complessa che non puo prescindere dalle intenzioni dell' autore del testo, da quelle del soggetto interpretante e dal contesto. 11 significato

e

quindi sempre intersoggettivo. Ma, ancora una volta, cio che distingue l'interpretazione del diritto da altri tipi di interpretazione

e

il fatto che, nel diritto, la pratica interpretativa si fonde in un tutt'uno con l' oggetto da interpretare, ed il risultato di interpretazioni anteceden ti diviene l' oggetto di interpretazioni future. Cio impone di rivedere la concezione -troppo a lungo accolta in modo acritico e quasi dogmatico dalla filosofia analitica del diritto- della scienza del diritto come metadiscorso e, conseguentemente, di stemperare la netta contrapposizione tra scienza del diritto da un lato e legislazione e giurisdizione, dall'altro.

11 terzo capitolo costituisce una naturale prosecuzione e specificazione delle tematiche affrontate nel capitolo precedente. Gli autori individuano, correttamente a mio avviso, uno dei principali limiti del giuspositivismo tradizionale nell'idea secondo cui: « .. .il testo di legge va compreso sulla base dei soli dati linguistici (ragione per la quale l'applicazione consisterebbe esclusivamente nell'individuare con precisione e obiettivita un significato precedentemente dato ed esattamente determinato), [idea che] si fonda in modo moho chiaro sul presupposto dell' evidenza e dell' oggetti va uni vocita del testo di legge»ll. L'interpretazione del diritto si ridurrebbe quindi ad una meccanica sussunzione del caso concreto sotto la fattispecie generale.

Anche Hart, attraverso la ben nota distinzione tra zona chiara e zona di penombra, mostra di essere ancora legato aquesto modello di interpretazione. Come sottolinea molto opportunamente Dworkin, la distinzione hartiana tra casi paradigmatici e zona di penombra impone di distinguere l'attivita del

10. Cfr. T.A.O. ENDICOTT, Vagueness and Legal Theory, "Legal Theory", 3,1997, p.39.

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giudice in due diverse pratiche interpretative, a seconda che. egli si trovi di fronte ad un caso facile o ad un caso difficile. Se il caso

e

facile, il giudice non fa altro che applicare il diritto. Se, invece,

e

difficile, per quanto Hart affermi che vi siano dei criteri da rispettare, il giudice crea nuovo diritto. Secondo Dworkin, la distinzione tra zona chiara e zona di penombra

e

una prova tangibile del fatto che anche il positivismo sofisticato

a

la Hart presuppone una

metateoria oggettualistica. Peraltro, questo modello di interpretazione si basa sul presupposto, che abbiamo visto essere falso, che sia possibile distinguere nettamente i casi facili dai casi difficili. Da cio non segue, e Viola e Zaccaria lo di cono chiaramente, che la logica, il ragionamento deduttivo, non svolgano aIcunruolo nell'interpretazione del diritto, ma soltanto che la sussunzione entra in gioco solo dopo che, attraverso opportune valutazioni, son o state fissate la premessa maggiore e la premessa minore dell'argomento.

Circoscrivere il ruolo del ragionamento deduttivo nell'interpretazione del diritto non impone, per altro verso, neanche di abbracciare la tesi della discrezionalitii forte dell'interprete. 11 significato, come abbiamo visto,

e

sempre intersoggettivo, e, dunque,

e

possibile rinvenire criteri, come la congruenza, il rispetto dei prindpi e le argomentazioni consequenzialiste, per distinguere le interpretazioni corrette da quelle che non lo sono. Se

e

yero che non sempre vi

e

un'unica soluzione corretta, e altrettanto yero che non tutte le soluzioni sono corrette. Del resto, sostenere in modo coerente la tesi secondo cui tutte le interpretazioni sono legittime non e agevole. Come fa, adesempio, un professore di diritto che propugna un radicale scetticismo interpretativo a valutare in modo negativo l'esame di uno studente che fa false affermazioni sul diritto?12.

La concezione dell'interpretazione giuridica elaborata da Viola e Zaccaria presuppone una prospettiva giusfilosofica di tipo ermeneutico. Per l'erme-neutica, l'unitii linguistica

e

rappresenta dal discorso;

e

nel discorso, infatti, che si determinano l' intendersi, il comprendersi ed il fraintendersi. 11 significato, come abbiamo giii detto,

e

sempre intersoggettivo; cio significa, tra le altre cose, che la validitii degli argomenti che vengono presentati in una pratica discorsiva non

e

aprioristicamente data ma si fonda su una giustificazione intersoggettiva. Secondo l'ermeneutica giuridica, quindi, la norma non sarebbe l'unico argomento da considerare ai fini dell'attribuzione di un senso normativo, ma soltanto uno fra i possibili argomenti. Va detto, incidentalmente, che la dimensione intersoggettiva della pratica interpretativa e

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spesso sottovalutata anche da chi, per molti versi, accoglie una prospettiva ermeneutica. Dworkin, ad esempio, quando parla di "atteggiamento protes-tante" a proposito dell' interpretazione del diritto, sottolinea la dimensione prevalentemente privata ed individualistica dell'attivita interpretativa, metten-done tra parentesi la dimensione pubblica ed intersoggettiva13 . Per gli autori, invece, la tesi secondo cui l'unita linguistica e rappresentata dal discorso e sia una tesi caratterizzante dell' ermeneutica in generale e dell' ermeneutica giuridica in particolare, sia una tesi che individua un' importante differenza tra ermeneutica giuridica e filosofia analitica del diritto. Secondo Viola e Zaccaria, la prospettiva analitica, identificando unita linguistica proposizionale e norma, attribuirebbe un'importanza spropositata a quest' ultima, con la duplice conseguenza di ridurre I"'interpretazione del diritto" ad "interpre-tazione delle norme" e di porre il tema dell'interpre"interpre-tazione ai margini della propria teoria del diritto, dedicata per buona parte all'analisi della norma giuridica. Pur non potendo dedicare aquesta contrapposizione tra "erme-neutici" ed "analitici" lo spazio che meriterebbe, ritengo di do ver motivare, almeno per brevi cenni, le ragioni della mia perplessita riguardo al modo in cui Viola e Zaccaria inquadrano la questione. Trovo molto interessanti e convincenti le osservazioni degli autori circa la dimensione intersoggettiva dell'interpretazione; troppo affrettate, invece, mi sembrano le loro critiche alla teoria del diritto di indirizzo analítico.

Certamen te, tra la filosofia analitica del diritto dei primi anni ' 50 e la prospettiva ermeneutica vi sono significative differenze. Riprendendo a1cune osservazioni di Riccardo Guastini aquesto proposito, si puo ricordare come: «l'atto di nascita della filosofia analitica del diritto -almeno in Italia- e la te~i di Bobbio secondo cui il diritto

e

il discorso prescrittivo del legislatore» 14. Basta questa citazione per rendersi conto che la nozione di "discorso" presupposta della filosofia analitica del diritto degli albori e molto lontana da quella presupposta dall' ermeneutica giuridica: il discorso cui fa riferimento Bobbio e il "discorso prescrittivo", cioe il discorso volto a modificare il comportami::nto umano; e inoltre il discorso di a1cuni soggetti ben iden-tificabili, tra i quali spicca il "legislatore". Invero, differenze significative permangono a tutt' oggi tra ermeneutica giuridica e filosofia analitica del diritto di indirizzo giusrealista.

13. Cfr. G. J. POSTEMA, "Protestant" Interpretation and Social Practices, "Law

and Philosophy", 6, 1987, pp. 283-319.

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Cio detto, ritengo, senza per questo indulgere in tentazioni sincretistiche, che le tesi "ermeneutiche" e quelle "analitiche" sull'interpretazione debbano essere considerate piu come tesi complementari che come tesi antagoniste. Da un lato, gli stessi Viola e Zaccaria riconoscono, a proposito dell'interpretazione del diritto, che alla norma deve essere riservata un' attenzione peculíare. Dall' altro, negli ultimi decenni la filosofia analítica del diritto si e di molto avvicinata, soprattutto grazie all'influsso del pensiero del secondo Wittgenstein, alle posizioni ermeneutiche. Per fare un solo esempio, le tesi sull'interpretazione di un autore in senso lato analítico come Neil MacCormick non sono molto di verse da quelle sostenute da Viola e Zaccaria.

Il quarto capitolo si propone di rispondere alla domanda "cosa inter-pretare?". L'interpretazione, in ambito giuridico, e sempre interpretazione di qualcosa e, quindi, bisogna individuare il testo giuridico intorno al quale ruota la pratica interpretativa. Il pregio principale di questo capitolo e quello di essere conseguente con l'immagine complessa e variegata del diritto delineata in precedenza. Se e yero che il diritto e una pratica sociale interpretativa e non (soltanto) un sistema di norme, allora appiattire l'interpretazione del diritto sull'interpretazione delle norme e certamente riduttivo. Olí autori, quindi, prendendo sul serio questa osservazione, si preoccupano di individuare i diversi canoni ermeneutici peculiari di tre diversi testi giuridici: il testo legislativo, il testo contrattuale ed il testamento.

Un' analísi accurata e dedicata anche alla ormai classica distinzione tra regole e principio Olí autori rifiutano sia la distinzione qualitativa, perché troppo forte, sia quella quantitativa, perché troppo debole. La distinzione qualitativa sembra presupporre un'ontologia delle norme, in base alla quale una norma e, sin dall'inizio, una regola o un principio1S . La differenza tra regole e principi rappresenta una condizione necessaria e sufficiente del fatto che questi due tipi di norme svolgono un ruolo diverso nell'interpretazione e nell' applicazione del diritto. Secondo la tesi della separazione debole, la differenza tra regole e principi e relazionale e graduale.

E

relazionale, in quanto una norma giuridica puo essere configurata come un principio solo rispetto ad altre norme configurate come regole; e graduale, perché cio che distingue i principi dalle regole e il fatto che i primi possiedono alcune caratteristiche in maggior grado rispetto alle seconde 16. Viola e Zaccaria ritengono in vece che regole e principi: «sono aspetti essenziali e correlati della normativita quand'essa e considerata in una dimensione dinamica, cioe come

15. Cfr. P. COMANDUCCI, Principi giuridici e indeterminazione del diritto, in Id.,

Assaggi di metaetica due, Giappichelli, Torino 1998, p. 85.

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processo di governo e di direzione del comportamento umano»17. In breve, gli autori vogliono sottolineare come l' esistenza deBe regole presuppone l'esistenza dei princlpi, a meno di non voler ridurre il diritto ad un comando

sostenuto da minacce. Questa, si badi, non

e

necessariamente una tesi

giusnaturalista, in quanto sostiene che l'esistenza di regole implica l'esistenza di princlpi ma non necessariamente di princlpi giusti.

Queste osservazioni di Viola e Zaccaria a me sembrano assolutamente convincenti, anche se ritengo che siano perfettamente compatibili con la tesi

della distinzione debole18 . Un autore come MacCormick, ad esempio, pur

affermando che la differenza tra regole e princlpi

e

meramente quantitativa,

potrebbe sottoscrivere quasi per intero le te si sostenute a proposito dei princlpi nel libro che qui si commenta. Ma queste precisazioni sono tutto sommato marginali. Le riflessioni di Viola e Zaccaria sui princlpi giuridici, soprattutto sui princlpi fondamentali, hanno invece una ricaduta significativa sulla tematica dell'accettazione del diritto. 11 fatto che un ordinamento giuridico recepisca a1cuni valori anziché altri mostra con chiarezza come la tesi della separazione tra diritto e morale, ancor oggi ritenuta imprescindibile da buona parte del positivismo giuridico, sia assai difficile da difendere. A differenza di quanto pensava Hart, l'accettazione del diritto presuppone infatti l'accettazione da un punto di vista moral e quantomeno dei suoi princlpi fondamentali.

Abbandonare la tesi della separazione tra diritto e morale

e

l'unico modo per

difendere in modo conseguente una concezione del diritto come pratica interpretativa e cooperativa. Chi, al contrario, rifiuta di compiere questo passo

e

costretto, probabilmente contro la sua stessa volonta e, forse, anche senza

accorgersene, ad abbracciare una concezione del diritto imperativistica, che riduce il diritto ad un comando sostenuto da minacce.

11 quinto e conclusivo capitolo

e

dedicato in particolare a presentare una

articolata ricostruzione della prospettiva ermeneutica accolta dagli autori. Viola e Zaccaria intendono l'ermeneutica non soltanto come un metodo da applicare alle indagini filosofiche, ma anche, e soprattutto, come una vera e propria concezione filosofica che individua nell' interpretazione la questione fondamentale della filosofia. L' intento degli autori in questo capitolo, mi

sembra,

e

quello di estendere il pensiero di Gadamer, che rappresenta

17. F. VIOLA, G. ZACCARIA, Diritto e interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, cit., p. 396.

18. L'unica differenza, potenzialmente importante, con la tesi della distinzione debole

e

che Viola e Zaccaria sostengo no che i princlpi rappresentino una minaccia per

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probabilmente l'espressione piu matura della filosofia ermeneutica, al problemi filosofici generali peculiari del diritto.

L'ermeneutica, come filosofia, afferma che tutte le attivita e le creazioni

umane sono dotate di sen so e che il compito della filosofia

-

e

proprio quello

di cogliere questo senso: «cio significa che il senso che sta alla base della comprensione ermeneutica ha un carattere pratico e che una filosofia ermeneutica del diritto non potra che essere una filosofia pratica»19. Bisogna

precisare che, per l' ermeneutica, il senso di una pratica sociale trascende, in

una qualche misura, la pratica sociale stessa. Da cio segue che il diritto, inteso come sen so specifico dell' operare umano, precede e trascende le particolari manifestazioni concrete in cui questo sen so si manifesta. L'individuazione del sen so della cosa-diritto passa comunque attraverso una individuazione del caso

paradigmatico di diritto. Tale individuazione del caso paradigmatico non

e

data

una volta per tutte. Ad esempio, Viola e Zaccaria ritengono, anche alla luce di quanto da loro sostenuto nel primo capitolo, che il modello ottocentesco dello

"Stato di diritto", che per un certo periodo

e

stato considerato come il caso

paradigmatico di diritto, sia stato (o stia per essere) soppiantato dallo "Stato costituzionale di diritto", che sembra piu idoneo a sottolineare la tensione del

diritto verso la realizzazione della giustizia. Su queste basi

e

anche possibile

precisare ulteriormente che le ragioni della centralita dell'interpretazione

nel diritto non devono essere ricercate nell' esigenza di rispettare l' autorita e la

sua volonta, quanto, piuttosto, nel carattere pratico, piu volte sottolineato, dell' esperienza giuridica. Il diritto, come abbiamo visto, tende alla giustizia, la quale, in ultima istanza, potra essere realizzata solo attraverso una decisione giudiziale che, essendo un atto della ragion pratica, non puo prescindere da un

certo grado di creativita. In questo sen so, il diritto

e

certamente una pratica

sociale molto piu simile alla moral e che al!' arte o alla letteratura.

3. Viola e Zaccaria riconoscono esplicitamente che mol ti dei tradizionali steccati che dividevano sino a poco tempo fa giuspositivismo e

giusna-turalismo, "ermeneutici" ed "analitici", son o ormai un ricordo del passato.

E

significativo, aquesto proposito, che gli autori abbiano dedicato que sto libro

«alla comunita scientifica dei filosofi del diritto italiani del tempo presente» e, in particolare, a «Norberto Bobbio e ai filosofi analitici del diritto, che, nell'Italia della seconda meta del Novecento, per primi hanno evidenziato la rilevanza del linguaggio per la comprensione del diritto». In questo paragrafo conclusivo, tuttavia, vorrei evidenziare almeno una importante differenza tra queste due tradizioni filosofiche, messa in luce, soprattutto nell'ultimo capitolo

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del libro, anche da Viola e Zaccaria. Tale differenza non consiste tanto nel fatto che l'ermeneutica giuridica considera il diritto una pratica sociale, mentre la filosofia analitica tende ad identificare il diritto con le norme, quanto, piuttosto, nel diverso modo di intendere la nozione di pratica sociale. In generale, si puo dire che un insieme di comportamenti e di regole

e

una pratica sociale solo se

e possibile attribuire ad essi un valore

. Di conseguenza, l'esigenza primaria dello studioso che aspira a descrivere una pratica sociale

e

proprio quella di individuare il valore o scopo di fondo della pratica e di confrontarsi con esso.

L'idea che il diritto sia una pratica sociale e che una teoria del diritto non possa non confrontarsi con lo scopo della pratica oggetto di studio

e

condiviso, sia pure con accenti diversi, da tutte le teorie giuridiche di oggi. Questa affermazione, pero, nel caso dell' ermeneutica giuridica presuppone una forma di oggetti vismo etico, certo piu debole rispetto all' oggetti vismo del giusnaturalismo tradizionale, che non puo essere condivisa dalla filosofia analitica del diritto. In particolare, la nozione di pratica sociale difesa da Viola e Zaccaria presenta analogie significative con quella di Finnis, per il quale l'individuazione dei valori interni ad una pratica richiede un'analisi che segua il metodo aristotelico dell'individuazione dei casi paradigmatici o esemplari di diritt020 . La prospettiva in base alla quale selezionare i casi paradigmatici

e

«( ... ) il punto di vista di coloro i quali non solo si appellano alla ragio-nevolezza pratica ma sano praticamente ragionevoli ... »21. Questa afferma-zione

e

simile a quella di Viola e Zaccaria secondo cui: <<llella prospettiva ermeneutica ... non

e

un testo ad avere un senso, ma un senso ad avere uno o piu testi. Cio sig!1ifica che

e

il diritto in quanto senso specifico dell' operare umano a precedere e conferire significato ai testi, che proprio per questo son o considerati "giuridici"»22. Di conseguenza, la ricostruzione teorica del diritto

e

caratterizzata in modo decisivo da una concezione forte della ragion pratica, che

e

inconciliabile con una posizione metaetica relativista.

Su queste basi

e

possibile recuperare la ragion d'essere della contrappo-sizione non sol tanto tra filosofia analítica ed ermeneutica, ma anche, piu in generale, tra giusnaturalismo e giuspositivismo. In breve, la ragione profonda di questa contrapposizione si risolve -come sosteneva peraltro Guido Fasso gia

20. Cfr. S. TODDINGTON, Method, Morality and the Impossibility of Legal Positivism, "Ratio Juris", Vol. 9, No. 3 1996, pp. 291-294.

21. J. M. FINNIS, Legge naturale e diritti naturali (1980), trad. di F. Di Blasi Ca cura di F. Viola), Giappichelli, Torino 1996, p. 16.

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nei primi anni '6023_ neB'opposizione tra oggettivismo e relativismo meta-etico. 11 giusnaturalismo individua a1cuni valori universali di cui il diritto dovrebbe favorire il perseguimento. 11 positivismo giuridico rifiuta questa posizione e, di conseguenza, anche l'idea che ogni sistema giuridico debba tutelare gli stessi valori assoluti. Quindi, anche se una teoria del diritto non puo evitare di interrogarsi suBe finalita di un sistema giuridico e, dunque, non puo limitarsi ad una mera analisi formale o "descrittiva", cio non impedisce tuttavia di distinguere tra giudizi di valore di tipo diverso - in particolare tra giudizi di valore che svolgono prevalen temen te una funzione esplicativa e giudizi di valore che svolgono prevalentemente una funzione giustificativa. Tale distinzione

e

improponibile da una prospettiva di tipo errneneutico.

Aldo Schiavello

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Referencias

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(18) Sobre las reticencias expresadas, véase E. FORSTHOFF: «La trasformazione della legge costituzionale», en su libro Stato di diritto in traslormazione, Milán, Giuffré, 1973, págs.

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