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STORIA

INDICE

Biennio: la preistoria il neolitico la mesopotamia gli egizi

la polis Sparta

le guerre Persiane Pericle

Alessandro Magno le origini di Roma la repubblica Le guerre Puniche i flavi

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3° e 4° ANNO

Papato ed imperi le monarchie nazionali

crisi economica e demografica formazione dello stato moderno riforma e controriforma

l'assolutismo francese il 1848

la Rivoluzione Francese il feudalesimo

la restaurazione: Il Congresso di Vienna la rivoluzione industriale

il socialismo

La rivoluzione Americana il secolo dei lumi

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La preistoria

La preistoria è convenzionalmente indicata come il periodo della storia umana che precede l'invenzione della scrittura.

Con la comparsa di testimonianze scritte infatti gli storici hanno a disposizione per la loro ricostruzione degli eventi una più vasta e chiara documentazione che giustifica questa periodizzazione convenzionale.

La lunghissima fase della storia dell'uomo antecedente all'invenzione della scrittura a rigor di termini dovrebbe iniziare 200 mila anni fa quando nella regione dell'attuale Sudafrica appare un tipo umano detto Homo sapiens sapiens che dal punto di vista morfologico risulta in tutto identico all'uomo attuale.

Tuttavia circa 2 milioni di anni fa, un tipo di ominide vivente nella regione intorno al Lago Vittoria (nel luogo dove attualmente confinano l'Uganda, il Kenia e la Tanzania) ha utilizzato per la prima volta degli utensili dando inizio alla storia della tecnica. Per estensione, si può ipotizzare una contemporanea origine del pensiero, che darà a sua volta inizio alla religione, all'arte, alla filosofia ed alla scienza pura.

L'invenzione del primo strumento di lavoro potrebbe giustificare l'estensione della preistoria a circa 2 milioni di anni fa, con il primo utensile, anche se i gruppi di ominidi che utilizzarono utensili non erano fisicamente simili agli umani attuali (Homo sapiens sapiens).

La preistoria viene convenzionalmente suddivisa in tre periodi: paleolitico (ossia pietra vecchia), mesolitico (pietra di mezzo) e neolitico (pietra nuova), per quanto sarebbe più corretto parlare di fasi in quanto i

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periodi preistorici sono caratterizzati da differente durata temporale e termine nelle diverse regioni geografiche.

Presso le società preistoriche la memoria dei fatti accaduti, i miti e le conoscenze tecniche erano tramandati oralmente di generazione in generazione; tale patrimonio di sapere scompare il più delle volte con l'estinzione del gruppo. L'archeologia costituisce pertanto l'unico mezzo per ricostruire gli eventi preistorici, attraverso l'esame delle testimonianze materiali lasciate dai popoli: abitazioni, utensili, rifiuti, modificazioni del contesto ambientale, monumenti e opere d'arte.

Accanto all'analisi dei reperti portati alla luce dagli scavi archeologici, lo studio della preistoria si avvale degli apporti di altre discipline – quali la geologia, la paleontologia, l'antropologia fisica – al fine di ricostruire il contesto ambientale in cui si trovarono a vivere aggregati umani preistorici, e quindi di conoscere il loro modo di interagire con esso, sfruttando le risorse offerte. Grande importanza assumono inoltre le dinamiche di sviluppo delle civiltà, nel campo delle conquiste materiali e dei mutamenti culturali, e gli spostamenti geografici dei popoli. Occorre tuttavia specificare che il concetto di preistoria ha un significato non necessariamente cronologico, in quanto esistono ancora oggi, in alcune aree del nostro pianeta, gruppi umani che non conoscono alcuna forma di scrittura.

Il processo di astrazione, che nella nostra specie si era avviato con il primo strumento di lavoro e che non si era fermato ma era proseguito con la costruzione di strumenti che permettevano di realizzare a loro volta altri strumenti, ebbe ricadute non solo sulla vita concreta ma anche sullo sviluppo degli organi di fonazione, del linguaggio, della comunicazione e inultimaanalisidelpensiero.

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All'inizio della protostoria, con lo sviluppo di società complesse tra l'età neolitica e l'età dei metalli, viene favorita la nascita della scrittura, come mezzo per registrare e trasmettere informazioni, e il processo di astrazione raggiunge un nuovo traguardo, anche se questo stadio dell'evoluzione umana presenta una casistica molto complessa (sono esistite civiltà che pur giungendo all'organizzazione sociale dello stato non sviluppano, almeno per quanto ne sappiamo, la scrittura). Le prime forme di registrazione scritte compaiono, quasi contemporaneamente, in varie parti del mondo: in Mesopotamia (Sumeri), valle del Nilo (Antico Egitto), Cina circa 5000 anni fa. Per convenzione si usa utilizzare la datazione dei primi reperti ritrovati di documenti scritti come spartiacque tra l'epoca preistorica della specie umana e una nuova era che convenzionalmente viene designata con il termine più appropriato di storia.

Se convenzionalmente con l'invenzione della scrittura si suole far concludere il racconto delle vicende umane della preistoria, di fatto la fase successiva di queste vicende detta propriamente Storia si fa iniziare con l'esposizione del fenomeno delle prime tre grandi civiltà mondiali, dette "civiltà idrauliche", in quanto sorte intorno a dei grandi fiumi e anche perché impegnate in opere di ingegneria idraulica per sfruttare le acque dei fiumi che hanno fatto la loro prosperità, ai fini di un incremento ancora maggiore della nuova economia agricola. Queste sono la civiltà dell'antico Egitto sorta sulle rive del fiume Nilo, quella Mesopotamica tra i fiumi Tigri e Eufrate e infine sul fiume Indo la civiltà della valle dell'Indo. Ma questa nuova fase del passato dell'umanità, benché anch'esso ormai lontano nei millenni, non è più preistoria.

Vi è anche da valutare l'ipotesi che la datazione dell'inizio della storia non sia generalizzabile a tutta l'umanità, ma sia diversa, a seconda della

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località, in funzione dello sviluppo umano ivi avvenuto.

Il neolitico

Il neolitico è un periodo della preistoria, l'ultimo dei tre che costituiscono l'età della pietra.

Etimologicamente il termine "neolitico" deriva dalle due parole greche νέος neos, "nuovo" e λίθος lithos, "pietra": fu infatti contraddistinto da notevoli innovazioni nella litotecnica, tra le quali la principale è rappresentata dall'uso della levigatura. Altre innovazioni furono l'introduzione dell'uso della ceramica, dell'agricoltura e dell'allevamento.

La diffusione in Europa della cultura neolitica che si era sviluppata nel Vicino Oriente, e in particolare il passaggio dall'economia di caccia e raccolta alla pratica dell'agricoltura e dell'allevamento, sono avvenuti con modalità e tempi tuttora discussi.

Vere Gordon Childe aveva ipotizzato già negli anni '20 che le comunità autoctone di cacciatori e raccoglitori delle culture mesolitiche europee, fossero state sostituite da comunità di agricoltori migrate più a nord dal Vicino Oriente, con un processo durato per più generazioni. Una prima corrente migratoria avrebbe seguito la via continentale lungo la penisola balcanica e il corso del Danubio, mentre un'altra, leggermente più tarda, si sarebbe diffusa attraverso la navigazione marittima lungo le coste del mar Mediterraneo da est ad ovest.

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per via continentale anzitutto lungo direttrici che attraversavano terreni particolarmente favorevoli, come quelli formatisi per deposito di polveri portate dal vento (loess) nell'Europa centrale. Seguì il corso di grandi vie fluviali, come il Danubio, ed ebbe successo nelle ampie vallate dei Balcani e della Grecia orientale, con inverni freddi e piovosi e con lunghe estati, ambiente ideale per la pastorizia e la transumanza; penetrò invece con difficoltà nelle fredde foreste del Nord Europa e nelle regioni poste ai bordi della catena alpina.

A partire dagli anni '70 e '80, Albert Ammerman e Luigi Cavalli-Sforza sulla base dei loro studi di genetica, hanno ipotizzato una massiccia migrazione di agricoltori, spinti dalla crescita demografica e dalla ricerca di nuove terre coltivabili, che avrebbe respinto e cancellato le precedenti comunità locali di cacciatori e raccoglitori mesolitiche.

Colin Renfrew, sulla base dei suoi studi archeologici e linguistici ha ipotizzato inoltre che la diffusione della cultura neolitica in Europa sia avvenuta parallelamente a quella dell'indoeuropeo, differenziatosi nell'Anatolia neolitica del VII millennio a.C., in opposizione alla teoria di Maria Gimbutas di una più tarda indoeuropeizzazione nel corso del calcolitico.

Un modello alternativo ipotizza invece una trasmissione delle nuove conoscenze per diffusione culturale, in seguito allo spostamento di piccoli gruppi, per la ricerca di materie prime o per i commerci, e che la cultura neolitica sia stata gradualmente adottata dalle locali comunità mesolitiche di cacciatori e raccoglitori, le quali utilizzavano già pratiche di sfruttamento e selezione nel procacciamento del cibo e avevano conosciuto forme precoci di insediamenti stabili.

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Mesopotamia

con il termine Mesopotamia si intende una regione del Vicino Oriente, parte della cosiddetta Mezzaluna Fertile. Il nome stesso (en mésos potamós, o µέσος ποταµός in greco) la indica come "terra tra due fiumi": il Tigri e l'Eufrate.

La Mesopotamia fu conquistata prima dai Sumeri, poi dai Babilonesi e infine dal popolo degli Assiri. Con il termine Mesopotamia i greci intendevano la zona settentrionale che si estende tra il Tigri e l'Eufrate. Con il tempo l'uso di questa definizione divenne di più ampio respiro, fino a comprendere anche le zone limitrofe. Oggi possiamo impropriamente definirne i confini indicandoli con la catena dei monti Zagros ad est, quella del Tauro a nord, steppe e deserti ad ovest e sud-ovest e, infine, il golfo Arabo-Persico a sud (la zona paludosa dello Shatt al-'Arab). La regione era considerata uno dei corni della mezzaluna fertile e vi si trovavano, allo stato selvatico, quelli che sarebbero diventati gli alimenti base della dieta dell'uomo nell'antichità: cereali, leguminose, ovini e bovidi.

Foreste di tipo mediterraneo sulle montagne a nord ospitavano una flora di querce, pini, cedri e ginepri ed una fauna di animali selvatici quali leopardi, leoni e cervi che ritroviamo anche nell'iconografia dell'arte giunta fino a noi. Da questa catena montuosa, il Tauro, parte il percorso dei due fiumi, dono per questa regione. Un dono che ha influito molto sulla vita e mentalità dei popoli che l'abitavano, infatti, sorgendo in una catena montuosa a clima mediterraneo, entrambi i fiumi erano soggetti ad una portata variabile e ad improvvise e disastrose inondazioni, tanto che

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nel corso dei millenni più volte hanno cambiato il corso del proprio letto. Proseguendo verso sud, i due fiumi si gettavano nel golfo con estuari separati ma, con il passare del tempo, costituirono la regione paludosa dello Shatt el-Arab unendo il proprio percorso.

spesso il bacino mesopotamico viene raffrontato per similitudine con quello del Nilo, entrambi hanno infatti favorito lo sviluppo delle civiltà umane ma con sostanziali differenze. Il grande fiume africano, a causa della sua nascita in zona monsonica, assicurava piene regolari e feconde grazie al limo che depositava, mentre il Tigri e l'Eufrate, per la loro imprevedibilità, furono un importante stimolo per la costruzione di opere di irrigazione e di regolazione delle acque. Le differenze non si mostravano solo nella gestione dell'ambiente ma anche sulla cultura dei due popoli: tanto gli Egizi si sentivano sereni in un mondo immutabile quanto i popoli della Mesopotamia svilupparono una cultura pessimista e sempre in lotta con la natura ostile.

La conoscenza delle grandi culture della Mesopotamia è, sorprendentemente, una storia relativamente recente. All'inizio del XVIII secolo, la traduzione della raccolta favolistica araba delle "Mille e una notte" provocò un rinnovato interesse per questa terra, considerata misteriosa ed ostile. Numerosi studiosi intrapresero viaggi dai quali tornarono carichi di osservazioni e reperti archeologici relativi alle antiche civiltà mesopotamiche. Come dopo la spedizione napoleonica in Egitto, con la riscoperta della sua civiltà millenaria, molti studiosi si avventurarono, all'inizio del XIX secolo, nella "terra dei due fiumi". Fu a metà del secolo che iniziarono le prime vere e proprie rudimentali esplorazioni di siti quali Ninive, Dur Sharrukin, Nimrud e Assur (da parte di Paul Emile Botta e Austen Henry Layard) e, in seguito, Uruk e Ur. Quando, nel 1855, un battello carico di reperti da Dur Sharrukin si

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rovesciò causandone quasi l'intera perdita nel Tigri (si salvò solo un decimo del materiale), le operazioni vennero sospese per un ventennio. Fu in questo periodo che George Smith, nel 1872, decifrò la scrittura cuneiforme di una tavoletta proveniente da Ninive riportante il racconto di un mitico diluvio. Ciò produsse una nuova spinta nell'esplorazione, questa volta più sistematica, e furono scavati nuovi siti, come Babilonia, e ne furono ripresi altri, come Assur, per merito dell'archeologo tedesco Robert Koldewey, anche se non sono da trascurare altri studiosi come von Oppenheim, Thomas Edward Lawrence e Leonard Woolley. Da allora fino ad oggi la volontà di riportare alla luce queste importanti civiltà ha trovato ostacolo solamente nella seconda guerra mondiale e nella prima e seconda guerra del golfo.

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Gli egizi

Con Antico Egitto si intende la civiltà sviluppatasi in quella sottile striscia di terra fertile che si distende lungo le rive del Nilo a partire dalle sue cateratte al confine col Sudan fino allo sbocco nel Mediterraneo, e riconosciuta come entità statale a partire dal 3300 a.C. fino al 31 a.C., quando ci fu la conquista romana.

Le tracce di insediamenti lungo il Nilo sono molto antiche e si calcola che l'agricoltura (in particolare la coltivazione di grano e orzo) abbia fatto la sua comparsa in quelle regioni intorno al 6000 a.C.[1] Proprio la presenza del fiume, che rende possibile la vita in una regione peraltro desertica, è il motore primo del precoce nascere della civiltà urbana e del suo persistere quasi immutata, ai nostri occhi, per quasi tremila anni. Le acque del Nilo, con le loro piene annuali, non portano solo fertilità ma anche distruzione se non vengono costantemente controllate, imbrigliate, incanalate, conservate per i periodi di siccità; ed è proprio da questo stato di cose che nasce la necessità di uno stato organizzato, uno stato che garantisca la manutenzione di quelle strutture da cui dipende la sopravvivenza di tutti.

La necessità di avere una struttura statale per la gestione delle opere (dighe e canali) collegate con le acque del Nilo, ha portato alla formazione di uno dei primi stati della storia, nel 3300 a.C. Infatti questa esigenza fece sì che le tribù nilotiche impararono a vivere prima sotto l'autorità di capi locali (fase della formazione dei distretti o nomos). I vari nomos si scontrarono e si allearono tra loro, nell'arco di circa un millennio, fino a formare due regni, l'Alto Egitto al sud (costituito dalla

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parte meridionale della valle del Nilo) ed il Basso Egitto al nord (costituito principalmente dal delta del fiume), che vennero unificati nel 3000 a.C. in un solo impero da Menes (da identificarsi probabilmente con il sovrano egizio Narmer), re dell'Alto Egitto, che inaugurò le trenta dinastie dell'antico Egitto. Tra i monumenti più famosi dell'Antico Egitto vi sono sicuramente le piramidi, tombe di sovrani dalla III alla XII dinastia.

Le piramidi più famose si trovano presso Giza, vicino alla città moderna del Cairo. La loro imponenza testimonia la potenza dello stato e l'importanza delle credenze religiose sull'oltretomba. La grande piramide, la tomba del sovrano Khufu (conosciuto anche come Cheope), è l'unico monumento sopravvissuto delle sette meraviglie del mondo antico. L'antico Egitto raggiunse l'apice della sua potenza ed estensione territoriale nel periodo chiamato Nuovo Regno (1567 a.C.-1085 a.C.), quando i confini dell'impero andavano dalla Libia all'Etiopia al Medio Oriente. L'antico Egitto conobbe anche momenti di debolezza e di polverizzazione del potere come avvenne nei tre Periodi Intermedi, nel secondo dei quali l'Egitto cadde sotto il controllo dei dominatori detti Hyksos.

Con Periodo predinastico dell'Egitto si intende la fase precedente alla formazione dello stato unitario egiziano. La fase comincia indefinitamente nella preistoria e arriva fino al 3100 a.C., il paese è suddiviso nei due regni del Basso Egitto e Alto Egitto.

Le prime comunità agricole si stabiliscono presto nel Delta del Nilo e nell'oasi del Fayyum, subendo nel Basso Egitto un'eccezionale sviluppo, che porta, dalla metà del V millennio, alla nascita delle prime città. Secondo alcuni studiosi, lo sviluppo delle attività legate all'agricoltura ha

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permesso un'enorme crescita demografica; secondo altri, invece, è la crescente pressione demografica a portare ad uno sviluppo dell'agricoltura. Aumenta anche la ricerca delle risorse minerarie del Medio e dell'Alto Egitto, soprattutto oro, da parte di coloni che adorano già Osiride e Horo, provocando al contempo un conflitto con le popolazioni meridionali che adorano Seth.

Gli adoratori di Horo e quelli di Seth si scontrano dunque e sono i primi a vincere. Si forma così un primo nucleo di regno, con capitale la città di Ieraconpoli. L'Egitto è ora diviso in Alto e Basso Egitto, due regni distinti e separati.

on Periodo Arcaico o Periodo Thinita (dal nome della città di Thinis forse mutuato sul culto della dea Tanit, probabile città natale dei primi sovrani, Narmer compreso, e capitale della prima nazione egizia unitaria, per poco tempo prima del trasferimento a Menfi[2]) si intende l'arco di tempo coperto dalle prime due dinastie egizie.

n dalle prime dinastie il re si afferma quale dio in terra, con la precisa funzione di conservare maat "l'ordine", il sistema, anche cosmico, che da lui dipende. Da qui deriva il regime faraonico, autocratico per diritto divino, che accentra ogni funzione dello stato sul re e che, sia pure con alternative e variazioni, si mantenne tale sino alla fine della civiltà egiziana. L'affermazione del dogma faraonico ha la sua massima espressione nell'Antico Regno e precisamente nella IV dinastia, quando possiamo prendere a simbolo della straordinaria autorità regale e dell'accentrato interesse sociale sul faraone in questo periodo le piramidi, cioè i monumenti funerari dei faraoni di quella dinastia: Cheope, Khefren e Micerino.

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La polis

Le poleis erano piccole comunità autarchiche, rette da governi autonomi; una sorta di piccoli stati indipendenti l'uno dall'altro. Il carattere autonomo delle poleis deriverebbe dalla conformazione geografica del territorio greco, che impediva facili scambi tra le varie realtà urbane poiché prevalentemente montuoso. Spesso, le varie poleis erano in lotta tra loro per l'egemonia del territorio greco; ne è un esempio la celebre rivalità fra Sparta e Atene.

Apparsa intorno all'VIII secolo a.C., la polis fu il vero e proprio centro politico, economico e militare del mondo greco. Ogni polis era organizzata autonomamente, secondo le proprie leggi e le proprie tradizioni. Vi furono esempi di poleis dal regime politico democratico, come Atene, e oligarchico, come Sparta.

L'indipendenza e la mancata unità delle poleis furono le cause principali della loro caduta. Il re macedone Filippo II e suo figlio Alessandro Magno infatti sfruttarono a loro vantaggio le lotte interne fra le città stato per dominarle e sottometterle. Anche in Italia meridionale, nella Magna Grecia, le poleis caddero sotto il dominio di Roma tra il IV secolo a.C. e il III secolo a.C. proprio per le lotte interne e la loro disunione.

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conseguì un miglioramento della sua lavorazione e permise un aumento demografico. Quindi i popoli non potevano più vivere in villaggi di difficile accesso, sperduti e in mezzo alle montagne, ma dovevano organizzarsi per difendersi dagli attacchi esterni e bisognava accumulare provviste per le carestie, così avvenne un rifacimento della struttura urbana.

La polis comprendeva sia il centro urbano, cinto da mura e costituito dall'acropoli, dall'agorà (ἀγορὰ, "piazza") e dalle abitazioni, sia il territorio circostante: la cosiddetta chora , dal greco "regione".

La parte bassa della città era chiamata asty ed era di norma la parte delle abitazioni più povere, dove vivevano contadini ed artigiani che però a volte diventavano così ricchi grazie al commercio intenso, e la zona così vasta da essere più prestigiosa della parte alta (definita a volte anche solo polis).

L'acropoli, la parte alta della città, era il fulcro della vita religiosa della polis, mentre l'agorà (la piazza), situata solitamente più in basso e rivolta verso l'esterno e i porti, era il cuore pulsante della città; il suo centro politico, economico e sociale. Nell'agorà, infatti, vi erano edifici con funzioni prettamente politiche (bouleuterion, ekklesiasterion, pritaneo, ma anche strutture destinate allo svolgimento delle attività commerciali e finanziarie (botteghe e cambiavalute), i tribunali, gli impianti ricreativi (dromos, orchestra), e alcuni edifici religiosi con una forte valenza civica (vedi gli heroon). La chora, la parte fuori dalle mura, era il luogo dove i contadini coltivavano i campi e si dedicavano all'agricoltura. Anche se era fuori dalle mura, la chora non era meno importante dell'acropoli: infatti i greci avevano uno stretto rapporto con la terra e non svilivano in nessun caso il lavoro dei contadini.

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Le strade principali, che univano l'agorà, i santuari, le porte della città, avevano un aspetto monumentale ed erano lastricate con grande cura. Per il resto, la rete stradale era fatta di stradine piccole, che consentivano a malapena il transito dei pedoni e degli animali da soma. Questo perché le attività economiche (artigianato e commercio) e quelle residenziali erano concentrate in aree specifiche. Questo assetto urbanistico riduceva il traffico dei quartieri residenziali.

Oltre all'unità territoriale, però, le poleis erano caratterizzate da un'unità sociale ed una strettamente politica: si trattava, infatti, di un gruppo di cittadini che si dotava di leggi che si impegnava a rispettare. I cittadini, dunque, non erano più sudditi come nelle società antecedenti, ma esercitavano il proprio potere eleggendo i rappresentanti (magistrature) ed intervenendo durante le assemblee.

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Sparta

Sparta (in greco moderno Σπάρτη, Sparti; in dorico Σπάρτα, Spártā) o più comunemente nel mondo antico, Lacedemone, è una città della Grecia situata nel Peloponneso meridionale, sulla destra del fiume Eurota tra i rilievi del Parnone a est e del Taigeto a ovest. Fra le protagoniste della storia della Grecia antica, principale polis rivale di Atene, oggi è una città di circa 18.000 abitanti, capoluogo del nomo della Laconia, modesto centro industriale e commerciale.

Della città antica, che sorgeva nelle immediate vicinanze della Sparta attuale, sono rimasti pochi reperti archeologici: i resti di un santuario dedicato ad Artemide Orthia, risalente all'inizio del IX secolo, dell'acropoli con il tempio ad Atena Chalkioikos e di un teatro di epoca ellenistico-romana. L'espansione di Sparta in Laconia sarebbe iniziata nell'VIII secolo, sotto la guida dei re Archelao e Carillo (ca 770-760) annettendo il territorio lungo il corso settentrionale dell'Eurota e poi, «durante il regno di Teleclo [ ... ] non molto prima della Guerra messenica», [3] e cioè verso il 750, con la colonizzazione di Pharis e Geronthrai e l'annessione di Amicle e dei suoi abitanti nella comunità spartana [4] che consentì la rapida annessione di tutta la valle meridionale dell'Eurota, avvenuta dopo il 740 al comando del re Alcamene, compresa la città di Elo, i cui abitanti furono resi schiavi. Dal nome della città avrebbe avuto origine, secondo la tradizione greca, il termine di Iloti. [5]

L'eventuale espansione di Sparta a oriente e sul mare avrebbe dovuto scontrarsi con la potenza di Argo; fra la montagnosa Arcadia, a nord, e la

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pianura della Messenia, ad occidente, gli Spartani scelsero quest'ultima, «buona da lavorare e da piantare», come nota Tirteo. Prendendo a pretesto l'assassinio di re Teleclo (740) attribuito ai Messeni, e assistita da mercenari cretesi e corinzi - mentre la Messenia beneficiava del sostegno delle tribù arcadiche, di Argo e di Sicione - Sparta iniziò una guerra ventennale (la prima guerra messenica) che si concluse con la caduta dell'ultimo bastione messenico del monte Itome intorno al 715 a.C.). Alcuni aristocratici messeni fuggirono [6] in Arcadia [7] mentre la massa della popolazione fu costretta a versare metà della sua produzione agricola ai nuovi padroni. Tirteo, che è la nostra principale fonte sull'argomento, scrive che: «Come asini sotto una pesante soma, erano costretti a trasportare per i loro padroni la metà di tutte le messi che un campo poteva produrre»[8] Non vi fu un'occupazione militare e una cinquantina d'anni dopo i nuovi tributari insorsero, approfittando della sconfitta subita da Sparta a Ilie nel 669 per mano di Argo, che aveva compreso da tempo la pericolosità dell'espansionismo spartano. La seconda guerra messenica durò una decina di anni e si concluse con l'annessione di gran parte del territorio della Messenia e la riduzione dei suoi abitanti alla condizione di Iloti; solo le città costiere mantennero una relativa indipendenza prendendo lo statuto di città periecie.

La conquista della Messenia influenzò tutta la politica spartana. A differenza delle altre città greche, che sopperivano alla mancanza di terre colonizzando i territori d'oltremare, Sparta - a parte l'episodio della colonizzazione di Taranto nel 708 - dedicò tutte le sue energie allo sfruttamento della nuova ricchezza che l'aveva resa la città più potente del Peloponneso.

Durante la seconda guerra messenica l'esercito spartano adottò una nuova tecnica militare, nella quale raggiunse l'eccellenza, basata sull'impiego di

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opliti schierati in formazione chiusa. Questa tattica, nella quale erano essenziali il coordinamento e la disciplina e non le iniziative individuali, influenzò profondamente la cultura spartana. L'ordinamento dello stato spartano che conosciamo in epoca classica è in misura significativa il risultato dell'organizzazione delle formazioni oplitiche.

Dopo la definitiva sottomissione della Messenia, i potenziali rivali ai confini di Sparta erano l'Arcadia e Argo; alla metà del VI secolo a.C. Sparta sconfisse la più importante delle città arcadiche, Tegea. Gli Spartani non ridussero gli abitanti allo stato di iloti, ma preferirono stringere alleanza con Tegea e altre città dell'Arcadia, impegnandole ad "avere gli stessi amici e nemici dei Lacedemoni". Nasceva così il primo embrione di quella che sarà la Lega Peloponnesiaca. La posizione di Sparta nel Peloponneso si rafforzò ulteriormente dopo un'importante vittoria su Argo ottenuta intorno al 546 a.C., che le consentì di impadronirsi della regione nord-orientale della Cinuria e della fascia costiera fino a Capo Malea.

A metà del VI secolo a.C. Sparta aveva raggiunto lo status di potenza regionale, avviata verso l'egemonia del Peloponneso, e il tipico ordinamento, che la rese famosa nel mondo greco e nel ricordo delle epoche successive.

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Guerre Persiane

Con il termine Guerre Persiane si definisce la sequenza di conflitti combattuti tra le poleis greche e l'Impero Persiano, iniziati intorno al 500 a.C. e continuati a più riprese fino al 449 a.C.

Alla fine del VI secolo a.C., Dario I, "Gran Re" dei Persiani, regnava su un impero immenso che si estendeva dall'India alle sponde orientali dell'Europa (nello specifico le zone orientali della Tracia). Nel 546 a.C. infatti, il suo predecessore, Ciro il Grande, fondatore dell'impero, aveva sconfitto il re della Lidia, Creso, e i suoi territori, comprendenti le colonie greche della Ionia, furono incorporate all'Impero Achemenide.

Le città stato ancora governate da sistemi tirannici condussero ognuna per proprio conto l'annessione all'impero persiano, la sola Mileto riuscì a imporre le proprie pretese. Questa situazione di frammentazione aveva comportato la perdita definitiva da parte delle colonie di ogni indipendenza (prima godevano comunque di ampie autonomie) e una drastica riduzione della loro importanza commerciale, a causa del controllo totale che i Persiani esercitavano sugli stretti di accesso al Mar Nero.

Nel 492 a.C. Mardonio tentò l'impresa della conquista greca, dopo aver eliminato tutti i tiranni nelle poleis asiatiche e soggiogato il regno di Alessandro I di Macedonia, ma fallì a causa di una terribile tempesta presso il monte Athos, nella penisola calcidica, che distrusse la flotta.

Nonostante l'insuccesso, nel 490 a.C. la spedizione fu ritentata sotto il comando del generale Dati e di Artaferne. La flotta persiana passò per

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Samo, espugnò Nasso, sottomise il resto delle isole Cicladi e proseguì verso Eretria e la distrusse. Atene a quel punto si ritrovò da sola a fronteggiare l'esercito persiano: l'unico aiuto che ricevette fu quello della città beotica di Platea, che inviò un contingente di mille opliti. Grazie alle capacità militari di Milziade riuscì a resistere alle truppe guidate da Dati e i Persiani furono sconfitti nella Battaglia di Maratona e respinti sulle navi. Secondo il mito l'esito positivo di questo scontro fu riportato direttamente dal campo di battaglia ad Atene da Filippide: la sua impresa che consisté nel ricoprire tale distanza correndo è ricordata ancor oggi con, appunto, la gara atletica della maratona. A quel punto, il resto delle truppe persiane capitanato da Artaferne e pronto per un attacco via mare, pensò di sfruttare l'occasione: la flotta mosse verso Atene, doppiando Capo Sunio, con la sicurezza di poter sbarcare incontrastata al Pireo e trovare Atene indifesa, visto che tutto l'esercito si trovava a Maratona. Milziade, però, intuito il piano nemico, ricondusse i suoi uomini a marce forzate verso la costa occidentale, così che, quando i Persiani arrivarono in vista del Pireo, trovarono l'esercito ateniese già schierato e rinunciarono all'impresa, tornando in Persia.

La polis a quel punto decise di intraprendere, nel 489 a.C., una spedizione per liberare le isole Cicladi dai Persiani, ma con esito negativo, poiché l'isola di Paros, alleata dei Persiani,resistette. La sconfitta costò a Milziade la carriera; fu anche accusato di complicità con il nemico e di aspirare alla tirannide, e subito dopo morì.

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Pericle

Nel conflitto instauratosi ad Atene tra il partito aristocratico-conservatore, guidato da Cimone, fautore di una politica filo-spartana, e quello democratico, capeggiato da Efialte, Pericle si schierò con quest'ultimo.

Quando nel 462 a.C. l'invio di truppe in soccorso degli spartani assediati alla rocca di Itome si rivelò un disastro, Cimone fu esautorato ed Efialte e Pericle ne approfittarono per esautorare l'areopago a favore della bulè e della ecclesia.

Nel 461 a.C., in seguito dell'ostracismo di Cimone e della morte di Efialte, Pericle divenne la figura principale della scena politica ateniese.

Pericle fece approvare una legge che istituì la mistoforia, cioè il pagamento di un'indennità giornaliera a coloro che ricoprivano cariche pubbliche. Tutti i cittadini dell'Attica ebbero la possibilità di presentarsi candidati e di svolgere, una volta eletti, l'incarico loro affidato. Pericle attuò una politica sociale che prevedeva l'istruzione degli orfani, il pagamento di pensioni ai mutilati di guerra e agli invalidi, l'ingresso gratuito a teatro per i poveri, una paga regolare ai soldati e marinai e una razione di viveri. Tali modificazioni sono state ripetutamente dibattute e contestate poiché, di fatto, la remunerazione trasformava i cittadini in funzionari facendo perdere alla partecipazione il suo carattere di privilegio personale; tuttavia tale opera giovò alla polis poiché, con i soldi della Lega, Atene finanziava la sua amministrazione.

Nel 451 a.C. propose la legge per cui potevano diventare cittadini ateniesi solamente coloro i quali avessero entrambi i genitori con la cittadinanza.

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Molte furono le opere pubbliche che Pericle promosse grazie anche ai tributi della lega delio-attica, come l'ingrandimento del Pireo, fortificando la strada che lo collegava alla città, e l'abbellimento dell'Acropoli di Atene con l'edificazione del Partenone, dei Propilei, dell'Eretteo e del tempio di Atena Nike.

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Alessandro Magno

Alessandro Magno (greco: Μέγας Ἀλέξανδρος, Mégas Aléxandros), ufficialmente Alessandro III (greco: Ἀλέξανδρος Γ' ὁ Μακεδών, Aléxandros trίtos ho Makedόn; Pella, 6 ecatombeone 356 a.C. – Babilonia, 30 targelione 323 a.C.) è stato un condottiero antico macedone, re di Macedonia a partire dal 336 a.C. È considerato uno dei più celebri conquistatori e strateghi della storia.

È conosciuto anche come Alessandro il Grande, Alessandro il Conquistatore o Alessandro il Macedone. Il termine "magno" deriva dal latino magnus che significa per l'appunto "grande", che in greco antico è "mégas".

In soli dodici anni il celeberrimo condottiero conquistò l'Impero Persiano, l'Egitto ed altri territori, spingendosi fino agli attuali Pakistan, Afghanistan e India settentrionale.

Le sue vittorie sul campo di battaglia, accompagnate da una diffusione universale della cultura greca e dalla sua integrazione con elementi culturali dei popoli conquistati, diedero l'avvio al periodo ellenistico della storia greca.

Il suo straordinario successo, già durante la sua vita ma ancor più dopo la sua morte, ispirò una tradizione letteraria in cui egli appare come un eroe mitologico, assimilato ad Achille, da cui vantava una discendenza.

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avvelenato, oppure per una recidiva della malaria che aveva contratto in precedenza.

Dopo la morte, il suo impero fu suddiviso tra i generali che lo avevano accompagnato nella sua spedizione e si costituirono i regni ellenistici, tra cui quello tolemaico in Egitto, quello degli Antigonidi in Macedonia e quello dei Seleucidi in Siria, Asia Minore, e negli altri territori orientali.

La vita e la figura di Alessandro Magno hanno presto assunto colorazioni mitiche. Le storie a lui riferite si ritrovano non solo nelle letterature occidentali: nella Bibbia (Primo libro dei Maccabei), ad esempio, si fa esplicito riferimento ad Alessandro, mentre nel Corano il misterioso Dhu al-Qarnayn (il Bicorne o letteralmente "Quello dalle due corna") viene per lo più identificato con lui.

Alessandro era figlio del re Filippo II di Macedonia e della moglie, Olimpiade, principessa di origine epirota; dal ramo paterno vantava una discendenza da Eracle, mentre dalla parte materna egli annoverava tra i suoi antenati l'eroe omerico Achille.

Secondo la leggenda, in parte da lui stesso alimentata dopo essere salito al trono, e riferita da Plutarco, il suo vero padre sarebbe stato lo stesso dio Zeus.

All'epoca della nascita di Alessandro, sia la Macedonia che l'Epiro erano ritenuti stati semibarbari, alla periferia settentrionale del mondo greco. Filippo volle dare al figlio un'educazione greca (precisamente attica-ateniese) e, dopo Leonida e Lisimaco di Acarnania, scelse come suo maestro nel 343 a.C. il filosofo greco Aristotele, che lo educò, insegnandogli la scienza e l'arte, gli preparò appositamente un'edizione annotata dell'Iliade e gli restò legato, come amico e confidente, per tutta

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la vita.

Si narra che il giovane Alessandro, all'età di dodici o tredici anni, manifestasse la propria straordinaria natura riuscendo a domare da solo il cavallo Bucefalo, regalatogli dal padre Filippo II di Macedonia: avendo infatti notato che il cavallo era spaventato dalla propria ombra, lo mise col muso rivolto verso il sole prima di montargli in groppa.

L'unicità del personaggio si riscontra persino in una sua singolare caratteristica fisica: aveva, infatti, un occhio di colore azzurro e l'altro nero.

Nel 340 a.C., a soli sedici anni, durante una spedizione del padre contro Bisanzio gli fu affidata la reggenza in Macedonia. L'anno successivo (339 a.C.) Filippo ebbe una seconda moglie, Euridice (nipote del suo generale Attalo), ma Olimpiade restò con il titolo di regina.

Nel 338 a.C. Alessandro guidò la cavalleria macedone nella battaglia di Cheronea.

Nel 336 a.C. Filippo venne assassinato da un ufficiale della sua guardia di nome Pausania, durante le nozze della figlia Cleopatra con il re Alessandro I d'Epiro; Pausania venne immediatamente ucciso dalle guardie macedoni dopo l'assassinio del sovrano. Seguendo il racconto tradizionale di Plutarco, sembrerebbe che della congiura fossero a conoscenza, se non direttamente coinvolti, sia Olimpiade che Alessandro, venuto in contrasto con il padre a causa del suo divorzio dalla madre; è inoltre possibile che l'assassinio sia stato istigato dal re di Persia Dario III, appena salito sul trono.

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macedone perché oltraggiato dai seguaci di Attalo, zio della nuova moglie Euridice. Il fatto che esistessero complici, in attesa di Pausania in fuga, depone tuttavia a favore dell'esistenza di un complotto organizzato e non semplicemente di un episodio legato a faccende private (teoria ancora da valutare). Dopo la morte di Filippo, Alessandro, all'età di 20 anni, fu acclamato re dall'esercito ed immediatamente si occupò di consolidare il suo potere, facendo sopprimere i possibili rivali al trono. Perirono Aminta, figlio di Perdicca III di cui Filippo era stato tutore, diversi fratellastri di Alessandro ed Euridice, la giovane moglie di Filippo, il cui zio Attalo fu raggiunto da un sicario in Asia Minore. Consolidato il suo potere in Macedonia, egli cominciò ad espandere la propria autorità nei Balcani cominciando dai Greci. Arrivato a Larissa, egli ribadì ai Tessali le proprie buone intenzioni nei loro confronti offrendosi come protettore nei confronti dei Persiani. Ad un'assemblea della Lega Tessalica, Alessandro fu eletto capo, gli venne affidata l'amministrazione delle entrate e gli fu promesso l'appoggio nella Lega Ellenica. Successivamente gli stati greci nella Lega di Corinto, eccetto Sparta, proclamarono Alessandro comandante delle loro forze contro la Persia.

Appoggiato da tutti i Greci, Alessandro avviò la campagna dei Balcani contro i Triballi e gli Illiri ed avanzando nella Tracia sterminò quasi completamente tutti i suoi nemici. Egli trascorse quasi 4 mesi nei Balcani orientali prima di puntare a ovest ed entrare nel territorio degli agriani. Clito, figlio di Bardilo II, che regnava in quello che è l'odierno Kosovo sui Dardani e Glaucia, re dei Taulanti (presso Tirana), erano in rivolta. Saputo ciò Alessandro raccolse tutti i suoi uomini: circa 25000 fanti e 5000 cavalieri. La battaglia cruciale si combatté a Pelio, occupata da Clito e fu vinta grazie ad una mossa geniale di Alessandro nel "Passo del

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lupo". In Grecia, tuttavia, si sparse la voce che Alessandro fosse rimasto ucciso in battaglia, e questa notizia provocò una nuova ribellione delle province greche , alimentata dai Persiani. Con una marcia rapidissima di più di 200 km, Alessandro raggiunse Tebe, la circondò e la rase al suolo, risparmiando solamente i templi e la casa del poeta Pindaro, ottenendo la sottomissione completa delle altre città, eccetto Sparta. Nel 324 a.C. il re con l'esercito riunito fece ritorno a Susa. Qui scoprì la cattiva amministrazione dei molti satrapi da lui un tempo "graziati" e comandanti. Il re procedette energicamente contro i colpevoli e sostituì molti satrapi locali con governatori macedoni.

Per perseguire l'unione tra Greci e Persiani spinse ottanta alti ufficiali macedoni alle nozze con nobili persiane e altri diecimila veterani si sposarono con donne della regione. Egli stesso impalmò Statira, figlia di Dario, mentre un'altra figlia del gran re persiano, Dripeti, andava in sposa al suo amico Efestione.

Passò per la prima volta in rassegna il nuovo corpo militare di 30.000 giovani persiani, accuratamente scelti ed addestrati a formare una falange macedone. Diecimila veterani furono congedati e rimandati in Macedonia con Cratero, destinato a sostituire Antipatro che era venuto in contrasto con la madre di Alessandro, Olimpiade. Questi doveva ora recarsi in Asia con nuove reclute.

Durante l'inverno la corte si ritirò ad Ecbàtana secondo il costume della corte persiana e qui morì Efestione, per il quale Alessandro soffrì terribilmente. Rase al suolo un villaggio vicino passando alla spada tutti i suoi abitanti come "sacrificio nei suoi confronti" e rimase a lutto per sei mesi; inoltre progettò un grandioso monumento funerario mai finito.

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Nella primavera del 323 a.C. Alessandro condusse una spedizione contro il popolo montanaro dei Cossei ed inviò una spedizione per esplorare le coste del Mar Caspio.

Una misteriosa malattia lo colse durante i preparativi per avviare l' occupazione dell' Arabia e la costruzione di una flotta con cui intendeva attaccare i domini cartaginesi, portandolo alla morte il 10 giugno del 323 a.C., al tramonto. Così morì Alessandro, a quasi trentatré anni, nel tredicesimo anno del suo regno. Nel testamento commissionava la costruzione di templi magnificenti in diverse città, la costruzione di un mausoleo intitolato a Filippo che avrebbe dovuto rivaleggiare con le piramidi in imponenza, la prosecuzione dell'unione fra persiani e greci, la conquista dei territori cartaginesi (Libia, Nord'Africa, Sicilia e Spagna), l'espansione verso occidente e la costruzione di una lunga strada in Africa che passasse lungo tutto la costa; ma i suoi successori ignorarono molto del testamento ritenendolo eccessivamente megalomane ed infattibile.

Sulle cause della sua morte sono state proposte varie teorie, che includono l'avvelenamento da parte dei figli di Antipatro o da parte della moglie Rossane, o più probabilmente una ricaduta della malaria che aveva contratto nel 336 a.C.

Ebbe due figli: Eracle di Macedonia, nato nel 327 a.C. da Barsine, figlia del satrapo Artabazus di Frigia, e Alessandro IV di Macedonia, figlio della moglie Rossane, nato nel 323 a.C. Gli storici successivi gli attribuirono anche numerosi amanti, tra i quali l'amico Efestione e Bagoas.

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Le origini di roma

La data della fondazione di Roma è stata fissata al 21 aprile dell'anno 753 a.C. (Natale di Roma) dallo storico latino Varrone, sulla base dei calcoli effettuati dall'astrologo Lucio Taruzio.

I Romani avevano elaborato un complesso racconto mitologico sulle origini della città e dello stato, che ci è giunto attraverso le opere storiche di Tito Livio, Dionigi di Alicarnasso, Plutarco e quelle poetiche di Virgilio e Ovidio, quasi tutti appartenenti all'età augustea. In quest'epoca le leggende riprese da testi più antichi vengono rimaneggiate e fuse in un racconto unitario, nel quale il passato mitico viene interpretato in funzione delle vicende del presente.

I moderni studi storici e archeologici, che si basano sia su queste ed altre fonti scritte, sia sugli oggetti e i resti di costruzioni rinvenuti in vari momenti negli scavi, tentano di ricostruire la realtà storica che sta dietro al racconto mitico, nel quale man mano si sono andati riconoscendo alcuni elementi di verità.

Nell'Iliade, Enea durante il duello con Achille viene salvato dal dio Poseidone, che ne profetizza il futuro regale. Questo vaticinio e il fatto che non ne sia narrata la morte nelle vicende della caduta della città di Troia, permise la creazione delle leggende sulla sorte successiva dell'eroe.

Nell'Iliou persis di Arctino di Mileto, della metà dell'VIII secolo a.C., si racconta la sua partenza verso il monte Ida, mentre nell'Inno omerico ad Afrodite, della fine del VII secolo a.C., Enea viene visto regnare sulla

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nuova Troia ricostruita, al posto della stirpe di Priamo. Anche la città di Ainea nella penisola calcidica si riteneva fondata da Enea e una moneta cittadina della fine del VI secolo a.C. rappresenta la fuga dell'eroe da Troia. Con Stesicoro, nel VI secolo a.C., viene introdotto il viaggio di Enea verso l'Occidente. Il testo letterario non ci è giunto, ma ne rimane testimonianza nelle raffigurazioni con "didascalie" della Tabula Iliaca (rilievo proveniente da Boville nei Musei Capitolini di Roma, databile al I secolo d.C.).

Nel V secolo a.C. i Greci crearono quindi probabilmente la leggenda della fondazione di Roma da parte di Enea: Dionigi di Alicarnasso ci riporta il racconto di Ellanico di Lesbo e di Damaste di Sigeo che avevano preso a modello le altre fondazioni di città greche attribuite agli eroi omerici. Viene anche inventata un'eroina troiana che avrebbe dato il suo nome alla nuova città ("Rome").

La presenza di raffigurazioni del mito di Enea su oggetti rinvenuti in centri etruschi tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C. ha fatto ipotizzare in alternativa che il mito si sia sviluppato in quest'epoca in Etruria.

La relazione di Enea con Lavinia viene introdotta, alla fine del IV secolo a.C., da Timeo di Tauromenio, che, come testimoniato nuovamente da Dionigi di Alicarnasso, racconta di avervi visto con i suoi occhi i Penati troiani. Il legame con Lavinio è testimoniato anche dal poeta Licofrone. Si tratta forse di un mito di fondazione di origine latina o romana, attestato anche archeologicamente: un tumulo funerario, databile in origine al VII secolo a.C., mostra un adeguamento a funzioni di culto proprio alla fine del IV secolo a.C. e corrisponde ad una descrizione di Dionigi di Alicarnasso del cenotafio dell'eroe, costruito nel luogo in cui

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era scomparso (rapito in cielo) nel corso di una battaglia.

Nel VI-V secolo a.C. lo storico siceliota Alcimo da Messina descrive per primo il mito della fondazione della città, con la lupa che salva ed alleva i due gemelli discendenti di Enea.

Tra il IV e il III secolo a.C. infatti, dopo una lunga elaborazione di molteplici materiali tradizionali, tra cui ebbe forse particolare peso quello di origine gentilizia (le "storie di famiglia" del patriziato), viene a delinearsi il racconto della fondazione della città da parte di Romolo e Remo. Questa"gestazione"della leggenda e la selezione dei materiali della tradizione, fino a quel momento probabilmente trasmessi essenzialmente per via orale, dipende fortemente dal contesto contemporaneo: Roma deve poter essere accolta nel mondo culturale greco, minimizzando invece l'apporto etrusco. La storia arcaica di Roma, a partire dalla sua fondazione viene quindi riferita da Fabio Pittore (che scrive in greco) e sarà ripetuta nelle Origines di Catone, negli scritti di Calpurnio Pisone e negli Annales di Ennio.

Ad Eratostene di Cirene si deve l'invenzione della dinastia regale di Alba Longa, a coprire lo scarto cronologico tra la data della caduta di Troia, agli inizi del XII secolo a.C., e la tradizionale data di fondazione della città, alla metà dell'VIII secolo a.C. Secondo Ennio, Romolo e Remo sono invece figli della figlia di Enea, di nome Ilia. Saranno infine Catone il Censore, Tito Livio, Dionigi di Alicarnasso, Appiano e Cassio Dione a narrare la leggenda così come è conosciuta dell'Eneide di Virgilio. Questi aggiunge tuttavia alle peregrinazioni dell'eroe la sosta presso la regina Didone, che rappresenta la spiegazione mitica dell'ostilità tra Roma e

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Cartagine.

La repubblica.

La Repubblica romana (Res publica Populi Romani) fu il sistema di governo della città di Roma nel periodo compreso tra il 509 a.C. ed il 27 a.C., quando l'urbe era amministrata da una repubblica oligarchica. Nacque a seguito di contrasti interni che portarono alla fine della dominazione etrusca sulla città, ed al parallelo decadere delle istituzioni monarchiche. La sua fine viene invece convenzionalmente fatta coincidere, circa mezzo millennio dopo, con la fine di un lungo periodo (circa un secolo) di guerre civili che segnò de facto (benché formalmente non avvenne una riforma istituzionale) la fine della forma di governo repubblicana a favore di quella del Principato.

La Repubblica rappresenta una fase lunga, complessa e decisiva della storia romana: costituì un periodo di enormi trasformazioni per Roma, che da piccola città stato quale era alla fine del VI secolo a.C. divenne, alla vigilia della fondazione dell'Impero, la capitale di un vasto e complesso Stato, formato da una miriade di popoli e civiltà differenti, avviato a segnare in modo decisivo la storia dell'Occidente e del Mediterraneo.

In questo periodo si inquadrano la maggior parte delle grandi conquiste romane nel Mediterraneo ed in Europa, soprattutto tra il III ed il II secolo a.C.; il I secolo a.C. è invece, come detto, devastato dai conflitti intestini catalizzati dai mutamenti sociali, ma è anche il secolo di maggiore fioritura letteraria e culturale, frutto dell'incontro con la cultura ellenistica e riferimento "classico" per i secoli successivi.

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massima autorità religiosa) furono assegnati a due consoli e, per quanto riguarda l'ambito religioso, al pontifex maximus. Con la progressiva crescita di complessità dello Stato romano si rese necessaria l'istituzione di altre cariche (edili, censori, questori, tribuni della plebe) che andarono a costituire le magistrature.

Per ognuna di queste cariche venivano osservati tre principi: l'annualità, ovvero l'osservanza di un mandato di un anno (faceva eccezione la carica di censore, che poteva durare fino a 18 mesi), la collegialità, ovvero l'assegnazione dello stesso incarico ad almeno due uomini alla volta, ognuno dei quali esercitava un potere di mutuo veto sulle azioni dell'altro, e la gratuità. Ad esempio, se l'esercito romano scendeva in campo sotto il comando dei due consoli, questi alternavano i giorni di comando. Mentre i consoli erano sempre due, gran parte degli altri incarichi erano retti da più di due uomini - nella tarda Repubblica c'erano 8 pretori all'anno e 20 questori.

Tra i magistrati una importante distinzione era quella tra magistrati dotati di imperium (cum imperio; ne facevano parte solo consoli, pretori e dittatori) e quelli che ne erano sprovvisti (sine imperio, tutti gli altri); ai primi erano affiancate delle speciali guardie, i littori. Nel tempo, per amministrare i nuovi territori di conquista senza dover moltiplicare il numero dei magistrati in carica, fu istituita la figura del promagistrato (proconsole, propretore), dotato della stessa autorità del magistrato di riferimento ma formalmente non tale.

Il secondo pilastro della repubblica romana erano le assemblee popolari, che avevano diverse funzioni, tra cui quella di eleggere i magistrati e di votare le leggi. La loro composizione sociale differiva da assemblea ad assemblea; tra queste l'organo più importante erano comunque i comizi

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centuriati, in cui il peso nelle votazioni era proporzionale al censo, secondo un meccanismo (quello della divisione delle fasce censitarie in centurie) che rendeva preponderante il peso delle famiglie patrizie.

Ciononostante il peso della plebe veniva comunque ad essere accentuato rispetto al periodo monarchico, in cui esisteva un solo organo assembleale (i comizi curiati) costituito da soli patrizi. L'accesso della plebe all'esercito sancito dalla riforma centuriata, varata all'inizio del periodo repubblicano, spinse il ceto popolare a pretendere maggiori riconoscimenti, che nell'arco di due secoli (vedi più avanti) vide tra l'altro la costituzione della magistratura di tribuno della plebe, eletto dal concilio della plebe.

Il terzo fondamento politico della repubblica era il Senato, già presente nell'età della monarchia.

Costituito da 300 membri, capi delle famiglie patrizie (Patres) ed ex consoli (Consulares), aveva la funzione di fornire pareri e indicazioni ai magistrati, indicazioni che poi divennero de facto vincolanti. Approvava inoltre le decisioni prese dalle assemblee popolari.

Esisteva poi la carica di dittatore, che costituiva un'eccezione all'annualità e alla collegialità. In periodi di emergenza (sempre militari) un singolo dittatore veniva eletto con un mandato di 6 mesi in cui aveva da solo la guida dello Stato. Eleggeva un suo collaboratore (che comunque gli rimaneva subordinato) detto maestro della cavalleria. Caduto in disuso dopo il periodo delle grandi conquiste, il ricorso a questo incarico tornerà ad essere praticato nella fase della crisi della repubblica.

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Le Guerre puniche

Le Guerre puniche furono una serie di tre guerre combattute fra Roma e Cartagine tra il III e II secolo a.C., che si risolsero con la totale supremazia di Roma sul Mar Mediterraneo; supremazia diretta nella parte occidentale e controllo per mezzo di regni a sovranità limitata nell'Egeo e nel Mar Nero. Sono conosciute come puniche in quanto i romani chiamavano punici i cartaginesi. A sua volta il termine punico è una corruzione di fenicio, come Cartagine è una corruzione del fenicio Karth Hadash (città nuova).

Le due città, quasi "coetanee" (814 a.C. Cartagine), (753 a.C. Roma), per lunghi secoli tennero un atteggiamento di reciproco rispetto anche se dai trattati stipulati nel corso del tempo, traspare una certa tendenza - probabilmente motivata - di Cartagine a sentirsi "superiore". Polibio ci informa di quattro trattati fra Roma e Cartagine: 509 a.C., 348 a.C., 306 a.C., 279 a.C. L'ultimo è addirittura un'alleanza (anche se non stretta) in funzione anti Pirro, re dell'Epiro, che imperversava prima nel sud Italia chiamato da Taranto contro i romani e poi in Sicilia chiamato da Siracusa contro i cartaginesi.

Proprio la sconfitta di Pirro a Maleventum sancì il definitivo ingresso di Roma - che arrivò così a controllare saldamente tutta l'Italia peninsulare - nel novero delle grandi potenze del Mediterraneo.

Proprio la precedente sconfitta di Pirro in Sicilia per opera dei cartaginesi segnò la divisione dell'isola in due settori: a ovest i punici, a est Siracusa.

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Quest'ultima città, per poter estendere il suo potere dovette rivolgersi contro i Mamertini di Messina che inviarono ambasciatori per chiedere aiuto a entrambe le città. Un'antica comunità di intenti, basata sulla simmetria degli interessi (terrestri per Roma, navali per Cartagine) cessò all'improvviso. Per 110 anni la guerra imperversò, gradualmente estendendosi a tutto il Mediterraneo. Fino alla totale distruzione di uno dei contendenti: Cartagine.

La Prima guerra punica (264 a.C. - 241 a.C.) fu principalmente una guerra navale. Le richieste di soccorso dei Mamertini contro Siracusa raggiunsero Roma e Cartagine. Roma, impegnata nella pacificazione del territorio sannita e nell'inizio di espansione nella Pianura Padana era riluttante a impegnarsi in Sicilia, Cartagine inviò subito una squadra navale. La conquista di Messina gettava segnali favorevoli nella secolare lotta con Siracusa; Cartagine poneva finalmente piede anche nel settore orientale dell'isola. Probabilmente vedere Cartagine a poche miglia dalle coste del Bruttium appena conquistato dovette creare qualche apprensione nel Senato romano che acconsentì a inviare soccorsi a Messina.

Questo andava contro il trattato del 279 a.C. che vietava gli interventi di Roma in Sicilia. Cartagine dichiarò guerra. Visto il pericolo, si alleò con la sua nemica storica, Siracusa, contro Roma ed i Mamertini.

La maggior parte della Prima guerra punica, comprese le battaglie più decisive, fu combattuta in mare, uno spazio ben noto alle flotte cartaginesi. Però entrambi i contendenti dovettero investire pesantemente nell'allestimento delle flotte e questo diede fondo alle finanze pubbliche

sia di Roma che di Cartagine.

All'inizio della guerra Roma non aveva nessuna esperienza di guerra navale. Le sue legioni erano vittoriose da secoli nelle terre italiche ma

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non esisteva una Marina. La prima grande flotta fu costruita dopo la battaglia di Agrigentum del 261 a.C. Ma Roma mancava della tecnologia navale e quindi dovette costruire una flotta basandosi sulle triremi e quinquiremi (navi che avevano ordini di due o tre remi e ciascun remo era manovrato da più rematori) cartaginesi catturate. Per compensare la mancanza di esperienza in battaglie con le navi, Roma equipaggiò le sue con uno speciale congegno d'abbordaggio: il corvo che agganciava la nave nemica e permetteva alla fanteria, trasportata, di combattere come sapeva fare. In almeno due occasioni 255 a.C. e 253 a.C. intere flotte furono distrutte dal maltempo. Il peso dei corvi sulle prode delle navi fu il maggior responsabile dei disastri.

Tre battaglie terrestri di larga scala furono combattute durante questa guerra. Nel 262 a.C. Roma assediò Agrigento in un'operazione che coinvolse entrambi gli eserciti consolari (quattro legioni). Giunsero rinforzi cartaginesi guidati da Annone. Dopo alcune schermaglie si venne a una vera battaglia che fu vinta dai romani. Agrigento cadde. La seconda operazione terrestre fu quella di Marco Attilio Regolo, quando, fra il 256 a.C. e il 255 a.C. Roma portò la guerra in Africa. Cartagine venne sconfitta nella Battaglia di Capo Ecnomo da una grande flotta romana appositamente approntata e le legioni di Attilio Regolo sbarcarono in Africa. All'inizio Regolo vinse la battaglia di Adys. Cartagine chiese la pace. I negoziati fallirono e Cartagine, assunto il mercenario spartano Santippo, riuscì a fermare l'avanzate romana nella

battaglia di Tunisi.

La guerra fu decisa nella battaglia navale delle Egadi (10 marzo 241 a.C.) vinta dalla flotta romana sotto la guida del console Gaio Lutazio Catulo, nel fazzoletto di mare che bagnava la roccaforte cartaginese Lilibeo. Buona parte del relitto di una nave affondata in questa guerra, sono

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conservati nel Museo Archeologico "Baglio Anselmi" di Marsala.

La Seconda guerra punica (219 a.C. - 202 a.C.) consistette essenzialmente in una serie di battaglie terrestri. Spiccano le figure di Annibale e Publio Cornelio Scipione detto successivamente per le vittorie avute in Africa "l'Africano". Il casus belli scelto da Annibale fu la sfortunata Sagunto. Alleata di Roma ma posta a sud dell'Ebro, cioè entro i "confini" punici, la città fu assalita, assediata e distrutta (La città di Sagunto aveva chiesto l'intervento di Roma ma il Senato era diviso sull'intervento tanto che è rimasta celebre la frase "Mentre a Roma discutono Sagunto cade"). Roma chiese a Cartagine di sconfessare Annibale. Cartagine rifiutò e accettò la dichiarazione di guerra. Annibale partì dalla Spagna con un esercito di circa 50.000 uomini, 6.000 cavalieri

e 37 elefanti.

Attraversate le Alpi, presumibilmente al passo del Moncenisio o del Monginevro, Annibale giunse nella Pianura padana con più o meno metà delle forze. Nell'ottica di portare dalla sua parte le tribù galliche in lotta con Roma, combatté e sconfisse i Taurini, avversari degli Insubri che gli si allearono assieme ai Boi. Con magistrale uso della cavalleria sconfisse le forze romane in due importanti battaglie sul Ticino e sulla Trebbia. L'anno successivo attraversò l'Appennino e batté seccamente le legioni di Roma nella battaglia del Lago Trasimeno. Sapendo di non poter assediare Roma prima di aver raccolto attorno a sé le popolazioni dell'Italia centrale e meridionale si diresse verso la Puglia dove, a Canne, inferse una tremenda sconfitta all'esercito romano. Ancora una volta non osò attaccare Roma che già si aspettava l'assedio e si limitò a operare nelle

regioni del sud Italia.

Roma, lentamente si riprese e adottando nuovamente la tattica del dittatore Quinto Fabio Massimo, che poi prenderà il soprannome di

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"cunctator" (temporeggiatore) per anni e con alterne fortune, combatté il generale cartaginese restringendo sempre di più il territorio della sua azione riconquistando man mano le città che Annibale conquistava, non appena le condizioni militari o sociali lo consentivano. Così Capua, Taranto, per citare le più importanti, passarono di mano da Roma ad Annibale e di nuovo a Roma.

Nel frattempo Roma portava la guerra in Spagna, prima con i fratelli Publio (padre dell'Africano) e Gneo Cornelio Scipione, e poi dopo la loro morte con Publio Scipione (futuro Africano) che attaccarono Asdrubale e Magone (fratelli di Annibale). La Spagna fu conquistata e Asdrubale venne in Italia cercando di portare rinforzi al fratello. Al fiume Metauro fu sconfitto e ucciso. Magone provò a muovere le tribù galliche della Pianura Padana ma fu sconfitto e ferito. Richiamato in patria, morì per le feritedurantelatraversata.

In maniera non determinante fu coinvolto anche il re Filippo V di Macedonia che si alleò con Annibale e provò a combattere i romani i quali si stavano espandendo nell'Illiria e quindi si avvicinavano ai suoi territori. Roma mosse la sua diplomazia e le sue legioni riuscendo a fermare i Macedoni senza grandi sforzi e aiutata dal re di Pergamo. Altre figure importanti della seconda guerra punica sono i re numidi Massinissa e Siface. Massinissa entrò in guerra come alleato di Annibale e la terminò come alleato di Scipione. Specularmente, Siface era alleato di Roma e finì la guerra come alleato di Cartagine.

Senza rifornimenti e rinforzi da Cartagine e senza riuscire a far sollevare le popolazioni del centro Italia contro Roma, Annibale si ritrovò praticamente assediato sui monti della Calabria dove, in seguito, gli giunse l'ordine di Cartagine di tornare in Africa per portare aiuto contro Publio Cornelio Scipione (Africano). Contrastando il volere del Senato,

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guidato da Quinto Fabio Massimo che riteneva prioritario estromettere Annibale dalla Penisola, Scipione, in qualità di proconsole della Sicilia e aiutato dalle città italiche, partì per l'Africa attaccando direttamente Cartagine. La città punica si vide costretta a richiamare Annibale che rientrò in patria dopo 34 anni di assenza. Nel 202 a.C. a Zama, Scipione volse contro Annibale la sua stessa strategia e lo sconfisse, determinando la fine della Seconda guerra punica.

Non appena si seppe che i romani erano partiti con un esercito di 80.000 uomini e 4.000 cavalieri Cartagine capitolò, inviando 300 ostaggi scelti fra gli adolescenti della nobiltà punica. L'esercito romano sbarcò vicino a Utica, che si arrese.

I consoli ricevettero gli ambasciatori di Cartagine che dovettero accettare le condizioni poste: Cartagine consegnò armature, catapulte e altro materiale bellico. Resi inermi i cartaginesi, Censorino disse che la città doveva essere distrutta e ricostruita 15 km all'interno. Il popolo cartaginese si ribellò; furono uccisi tutti gli italici presenti in città, furono liberati gli schiavi per avere aiuto nella difesa, furono richiamati Asdrubale e altri esuli, fu chiesta una moratoria di 30 giorni per inviare una delegazione a Roma. In questi 30 giorni, si ebbe una frenetica corsa al riarmo. I cartaginesi riuscirono a produrre ogni giorno 300 spade, 500 lance, 150 scudi e 1.000 proiettili per le ricostruite catapulte. Le donne offrirono i loro capelli per fabbricare corde per gli archi. Quando i romani arrivarono alle mura di Cartagine trovarono un intero popolo stretto a difesa della sua città. Fu posto l'assedio.

Cartagine era estremamente ben difesa. La sosta aveva dato ad Asdrubale, posto a capo dell'esercito, la possibilità di raccogliere circa 50.000 uomini ben armati e l'assedio si protrasse. Nel 148 a.C. i nuovi

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consoli furono inviati in Africa ma si rivelarono ancora più incapaci dei predecessori. Gli insuccessi romani resero audaci i cartaginesi, Asdrubale prese il potere con un colpo di stato e ordinò di esporre sulle mura i prigionieri orrendamente mutilati. I romani, inaspriti, non avrebbero concesso mercé.

Nel 147 a.C. Publio Cornelio Scipione Emiliano venne nominato console, avendo come collega Caio Livio Druso. Asdrubale che difendeva il porto con 7.000 uomini, fu attaccato di notte e costretto a riparare a Birsa.Scipione bloccò il porto da cui arrivavano i rifornimenti per gli assediati. Questi scavarono un tunnel-canale e riuscirono a costruire cinquanta navi ma Scipione distrusse la flotta e il tunnel-canale fu chiuso. Nel frattempo Nefari fu attaccata da truppe romane e cadde; questo portò la resa delle altre città. I romani si poterono concentrare su Cartagine.

L'agonia della città si protrasse per tutto l'inverno senza viveri e attaccata da una pestilenza. Scipione non forzò l'attacco che venne lanciato solo nel 146a.C. I sopravissuti per quindici giorni impegnarono i romani in una disperata battaglia per le strade della città. Ma l'esito era scontato. Gli ultimi soldati si rinchiusero nel tempio di Eshmun altri otto giorni. Scipione abbandonò la città al saccheggio dei suoi soldati. Cartagine fu rasa al suolo, bruciata, le mura abbattute, il porto distrutto. Venne sparso del sale a dimostrare che quel luogo era maledetto[e quindi inabitabile ed incoltivabile. La terza guerra punica era terminata.

I Flavi

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Vespasiano era stato un Generale Romano di notevole successo ed aveva amministrato molte parti esterne dell'Impero. Sua grande azione fu la repressione della rivolta in Giudea. veva sostenuto la candidatura imperiale di Galba; tuttavia alla sua morte, Vespasiano divenne il maggior aspirante al trono. Dopo il suicidio di Otone, Vespasiano riuscì a dirottare la fornitura invernale del grano per Roma, mettendosi in ottima posizione per sconfiggere l'ultimo rivale, Vitellio. Il 20 dicembre 69, alcuni sostenitori di Vespasiano occuparono Roma. Vitellio fu ucciso dalle sue truppe, ed il giorno successivo il Senato confermò Imperatore Vespasiano.

Vespasiano fu praticamente un autocrate, ed ebbe molto meno appoggio dal Senato dei suoi predecessori Giulio-Claudii. Questo è esemplificato dal fatto che lui stesso riferisce la sua salita al potere il 1º luglio quando fu proclamato Imperatore dalle truppe, invece del 21 dicembre quando fu confermato dal Senato. Egli volle, negli anni successivi, espellere i Senatori a lui contrari.

Vespasiano riuscì a liberare Roma dai problemi finanziari creati dagli eccessi di Nerone e dalle guerre civili. Aumentando le tasse in modo drammatico (talvolta più che raddoppiate), egli riuscì a raggiungere una eccedenza di bilancio ed a realizzare progetti di lavori pubblici. Egli fu il primo committente del Colosseo e costruì un Foro il cui centro era il Tempio della Pace.

Vespasiano fu inoltre effettivamente imperatore delle province. I suoi Generale soffocarono ribellioni in Siria e Germania. Infatti in Germania riuscì ad allargare le frontiere dell'Impero, e gran parte della Bretagna fu portata sotto il dominio di Roma. Inoltre estese la cittadinanza romana agli abitanti della Spagna.

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