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Filosofia V SSA

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Academic year: 2020

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LICEO SCIENTIFICO DELLE SCIENZE APPLICATE

V ANNO

FILOSOFIA

- Romanticismo Europeo

- L’Idealismo Tedesco

- Schopenhauer

- Kierkegaard

- Ludwig Feuerbach: Vita e Pensiero Filosofico

- Karl Marx

- Manifesto del Partito Comunista

- Il Positivismo Caratteri Generali

- Auguste Comte e la Legge dei Tre Stadi

- La Teoria dell’Evoluzione di Darwin e le Prove a Favore Di Essa

- Apollineo e Dionisiaco: La Maschera e il Volto

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ROMANTICISMO EUROPEO

Caratteri generali del Romanticismo tedesco ed europeo Per Romanticismo (che originariamente faceva riferimento al romanzo cavalleresco) si intende un movimento, nato in Germania nella fine del Settecento. E’ di difficile catalogazione; per esso valgono principalmente due definizioni: quella di Hegel e dei romantici in genere, secondo i quali il Romanticismo è la cultura che esalta il sentimento e che ruota attorno al Circolo di Jena. Tale definizione è però troppo ristretta e privilegia soprattutto le arti, per cui è più preciso considerare il Romanticismo come “un’atmosfera” storica, cioè una situazione mentale generale che si riflette sull’arte, sulla filosofia, sulla politica ecc. Non è però neanche esatto rinunciare totalmente di definire tale movimento (come fanno parecchi studiosi odierni), perché è sempre possibile dare i tratti principali, come la ricchezza di “ambivalenze” (che denotano come, pur permanendo, la logica aristotelica, basata sul principio di non contraddizione, stia per essere superata da quella Hegeliana): c’è l’esaltazione del genio (cioè del singolo) e contemporaneamente l’esaltazione della società, il sentimentalismo e il razionalismo, l’esaltazione del passato e l’attesa del futuro ecc., movimenti antitetici ma che hanno basi comuni e che insieme sintetizzano il Romanticismo.

Le ambivalenze, inoltre, derivano anche dal periodo storico, caratterizzato dal ritorno in auge della Chiesa e dei sovrani e contemporaneamente dalla nascita delle sette e dei moti. Perché il Romanticismo nasce in Germania? Perché, dopo tanto tempo, c’è in Germania un movimento filosofico originale? Per capirlo dobbiamo presupporre che la Francia aveva speso sangue e soldi nelle guerre napoleoniche (tra l’altro erano nate tante industrie belliche che ora bisognava riconvertire) e che l’Inghilterra era il principale paese antinapoleonico. Tra le cause della rivoluzione francese (e della conseguente ascesa di Napoleone) c’è la diffusione del pensiero illuminista, quindi in tutta Europa le sue idee furono rigettate, mentre in Francia e Inghilterra avvenne un abbandono totale della filosofia. La Germania, invece, che aveva visto quegli avvenimenti da lontano, pur rigettando l’illuminismo, continua a filosofare: tale rigetto avviene soprattutto nei giovani del nutrito gruppo “Sturm und Drang” (tempesta e assalto), che esaltano il sentimento smodato, l’amore libero e vanno contro le regole in genere. Questo movimento si incrocia con il neoclassicismo (che riprende i motivi classici, aggiungendo la tragicità contemporanea). Sturm und Drang e neoclassicismo sono due movimenti antitetici: la loro sintesi dialettica forma il Romanticismo. Rigettando l’illuminismo, il Romanticismo vede nella ragione i limiti che gli aveva imposto Kant, per cui per raggiungere l’infinito essa è inutile: è necessario il sentimento. L’esaltazione del sentimento è affiancata dal culto dell’arte, vista come porta della conoscenza, e in particolare della musica (celebrata non solo dai musicisti ma anche dai filosofi, come Schopenhauer). Diffusa in tutti i romantici è

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la ricerca dell’infinito, diversi sono, invece, i rapporti con il finito. La visione predominante è quella panteista, che tende a concepire il finito come realizzazione vivente dell’Infinito; panteismo accompagnato ad una religiosità cosmica, diversa delle fedi positive. Accanto ad essa c’è la visione teista e trascendete, che distingue finito da Infinito (vedendo nel finito una manifestazione più o meno adeguata dell’Infinito). Un altro motivo ricorrente tra i romantici è la visione della vita come sforzo incessante: l’uomo è preda di un “demone dell’infinito” che lo porta sempre a trascendere gli orizzonti del finito. L’espressione germanica “Sehnsucht” (desiderio, brama…) sintetizza bene il pensiero dei romantici, che tendono sempre a desiderare l’impossibile, per il piacere provocato dal desiderio stesso (che porta al senso di noia e di vuoto rispetto alle esperienze umane). Tale stato esistenziale si accompagna all’ironia e al titanismo. L’ironia deriva dalla consapevolezza che ciò che accade è solo manifestazione particolare dell’Infinito e quindi è inutile prendere le cose “sul serio”. Il titanismo (detto anche prometismo, visto che i romantici vedono in Prometeo il simbolo della ribellione in quanto tale) è invece una sorta di sfida e di ribellione di chi si propone di combattere sapendo già che sarà sconfitto. Tant’è vero che a volte il titanismo mette capo al suicidio, visto come massima sfida contro il destino. L’anelito all’infinito porta anche al disprezzo verso il quotidiano e alla tendenza all’evasione e all’amore dell’eccezionale, del meraviglioso e del primitivo.

Tale desiderio di evasione si manifesta nel culto del medioevo e dell’esotismo e soprattutto del mondo dei sogni (l’intera arte romantica sembra muoversi in un’atmosfera rarefatta e quasi transmateriale), che a volte si tingono di macabro (come accade nel “Romanticismo nero”, popolato da cadaveri, scheletri e simili). Collegata all’evasione è anche la figura romantica del “viandante”, che, diversamente dal “viaggiatore” cosmopolita illuminista (che viaggiava per curiosità e studio), “vaga” inquieto in cerca di un non so che di irraggiungibile (è un’altra manifestazione della “Sehnsucht”). Altro tema caratteristico del Romanticismo è l’”immediatezza felice” e “l’armonia perduta”, secondo la quale, in un non meglio precisato periodo della storia, l’uomo ha perso la sua simbiosi con la natura (nella quale corpo e spirito non erano in lotta), diventando “inautentico” e quindi desideroso di ricomporre la scissione uomo mondo. Secondo ciò Schiller fa una distinzione tra “poesia ingenua” (tipica degli artisti antichi, che erano natura) e “poesia sentimentale” (degli artisti moderni, per i quali la natura è oggetto di ricordi e nostalgia). Questa concezione di armonia iniziale scissione intermedia ricostruzione futura basata sul ricupero del passato (che anticipa la logica di Hegel) vede la storia come regresso e come progresso contemporaneamente. C’è quindi una mitizzazione del passato felice e la consapevolezza di essere al momento culminante della scissione: il poeta si sente nella mezzanotte del mondo, mentre attende l’alba. Le caratteristiche precedenti, piuttosto sfumante, valgono soprattutto nel Romanticismo letterario. Nel Romanticismo filosofico è centrale, invece, la figura dell’uomo come “Spirito”, inteso come: attività infinita inesauribile, che supera di continuo i propri ostacoli; soggetto in funzione di cui esiste e trova un senso l’oggetto. Questa teoria, che mette capo all’equazione Io = Dio, nasce con Fichte (non a caso indicato da

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Schlegel come iniziatore del Romanticismo tedesco). L’io di Fichte, però, è costretto ad obbedire alla necessità razionale ed è quindi limitato, quello della scuola romantica (Novalis, Tieck ecc.), invece, si basa sul sentimento è quindi non ha limiti. Entrambi comunque si basano sull’infinita potenza dello spirito: che si manifesta nel romanticismo filosofico come sorgente necessaria di produzioni reali, mentre in quello letterario come libertà assoluta di produzioni fantastiche. Da questi due modi di vedere nasce il parallelismo tra individualismo e anti-individualismo: da una parte notiamo il riconoscimento del valore della personalità (che ama, soffre, teme la morte…), l’esaltazione del genio (tutti “pensano” allo stesso modo, ma ognuno “sente” diversamente, quindi il genio spicca tra gli altri), fino a cadere nel soggettivismo; dall’altra parte, in antitesi, vediamo la proclamazione della missione sociale del dotto e l’esaltazione della società. Il Romanticismo esalta anche l’amore (tale esaltazione discende principalmente dalla ricerca di evasione dal quotidiano) come sentimento che solleva lo spirito. La prima caratteristica dell’amore romantico è la globalità, ovvero la ricerca di una sintesi tra anima e corpo, spirito e istinto. L’ideale di donna cambia: la donna dell’illuminismo, chiusa in certi schemi (con falsi pudori e sottostante alla tradizione), fa posto ad una donna più emancipata (capace di amare senza freni, presupponendo una parità di sessi nella vita come nella cultura). Seconda caratteristica dell’amore è la ricerca dell’unità assoluta degli amanti, cioè della completa fusione delle anime e dei corpi. In terzo luogo, l’amore viene visto come “cifra dell’assoluto”: nell’amore si intravede l’infinito (Dio è trascendente ma illumina l’anima di colui che ama). Nel Romanticismo c’è anche il culto della storia, che non è più dominata dall’uomo (come nell’illuminismo), bensì da un soggetto provvidenziale assoluto (Dio, lo Spirito del mondo, l’Io trascendente…).

La storia è dunque vista positivamente: come continuo progresso (si tende alla perfezione: ogni evento comprende e supera il precedente; la pensano così i filosofi della metà dell’Ottocento). Oppure come insieme di momenti tutti ugualmente perfetti. (l’errore nella storia è l’antitesi della logica Hegeliana, che poi porterà alla sintesi; la pensano così i filosofi del primo Ottocento e in particolare Hegel). Vengono quindi rivalutate il medioevo e la tradizione: il passato non è più visto criticamente (come facevano gli Illuministi, che giudicavano il passato alla luce dei valori del presente), bensì viene santificato (come “corso di Dio nella storia”, nel quale ogni periodo ha la sua individualità). In politica, inizialmente il romanticismo tedesco assume forme (come lo erano già i partecipanti dello Sturm und Drang) di radicalismo repubblicano e anche di ribellismo anarchico: si assiste allo sviluppo del tema dell’individuo contro la società. In seguito, però, in virtù della visione provvidenzialistica e tradizionalistica della storia, il Romanticismo si fa conservatore ed esalta l’Autorità (i romantici, non tutti e soprattutto in Germania, si schierano dunque dalla parte della Restaurazione). Nasce l’idea di nazione: l’illuminista è cosmopolita e parla di “popolo” (insieme di individui che “vogliono” stare insieme, perché hanno stipulato un contratto sociale); la nazione è invece un insieme di individui che “devono” stare insieme, perché altrimenti rinnegherebbero tradizioni, razza, religione e, di conseguenza, se stessi. Il culto della nazione, comunque, non è

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solo esaltazione dell’autorità: fuori dalla Germania (per esempio in Italia) si assiste ad una saldatura tra il concetto di nazione e quello di libertà, libertà non solo dallo straniero ma come libertà nello stato (ognuno ha una libertà limitata da una legge universale che porti la pace nella società, affinché “tutti” siano liberi). In Mazzini, per esempio, il culto della nazione è unito al liberalismo (salvaguardia dei diritti individuali), alla democrazia (teoria del popolo come sovrano), al patriottismo (battaglia affinché lo stato coincida con la nazione) e all’autodeterminazione nazionale (ogni nazione deve essere padrona del proprio destino politico). La natura è manifestazione dell’infinito. In antitesi alla visione meccanicistica nata con Galileo, si presentano, una visione organicistica (la natura è composta da organi tutti utili), una energetico vitalista (la natura è energetica), una finalistica (la natura è strutturata così per determinati scopi), una spiritualistica (la natura è uno spirito in divenire) e una dialettica (la natura è organizzata secondo coppie opposte). Viene posto un forte legame tra uomo e natura (per cui è autorizzata l’interpretazione psicologica dei fenomeni fisici e l’interpretazione fisica di fenomeni psichici). Dividendo la natura qualitativamente, la filosofia romantica sembra fare un passo indietro: filosofia e scienza si dividono (tra l’altro lo scienziato si va specializzando e nascono le équipe). Nonostante il Romanticismo sia permeato di pessimismo (la base stessa del Romanticismo è l’anelito impossibile all’infinito; e l’infelicità viene vista come il prezzo da pagare per diventare grandi), in una visione complessiva la sua atmosfera è ottimista, a causa della visione provvidenzialistica del reale che hanno i romantici (e anche gli atei sublimano il negativo, la sofferenza, nel positivo, l’arte).

Dal kantismo all’idealismo

La filosofia kantiana viene studiata e approfondita e criticata per i suoi dualismi. Gli viene accusato che la realtà noumenica, non essendo conoscibile, non può neanche essere introdotta. Inoltre l’ammissione del noumeno viene vista pericolosa, perché se si scoprisse, le leggi che dipendono dalla rivoluzione copernicana non varrebbero più: studiare il noumeno è dunque inutile e pericoloso. Diversi filosofi preferirono, quindi, intendere il noumeno non come cosa eterna bensì come limite interno dell’attività dell’io (per poi arrivare infine alla completa negazione dell’esistenza della realtà noumenica). Nasce in questo periodo, con Fichte e Schelling, l’idealismo (che riconduce tutto ad un principio, che è la spiritualità), che fa scomparire il dualismo: la materia è anch’essa spirito.

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L’IDEALISMO TEDESCO

1. I critici di Kant: Schulze, Maimon, Jacobi ovvero la messa in crisi del concetto di cosa in sé;

2. Fichte e l’idealismo soggettivo o etico ovvero l’eliminazione della cosa in sé: unica realtà è il soggetto, l’Io;

3. Schelling e l’idealismo oggettivo o estetico ovvero la rivalutazione della Natura, che Fichte aveva ridotto a semplice non-Io;

4. Hegel e la filosofia dell’Assoluto ovvero la sintesi Hegeliana delle posizioni di Fichte e Schelling: la filosofia dell’Assoluto.

I critici di Kant

A Jena (città della Turingia, celebre per la battaglia del 1806 con cui Napoleone sconfisse i Prussiani aprendosi la strada verso Berlino) nasce il Circolo di Jena, centro di diffusione del movimento culturale di quest’epoca, il Romanticismo, di cui l’idealismo è la massima incarnazione filosofica. Fanno parte del Circolo: i fratelli Schlegel, Novalis, Tieck, Hölderlin. Jena mantiene collegamenti con l’altro grande centro culturale tedesco che è la Weimar di Goethe. A Jena insegna il maggior continuatore del pensiero kantiano, Reinhold, e vi iniziano la propria carriera i massimi filosofi dell’idealismo (Fichte, Schelling, Hegel). L’idealismo è la corrente filosofica più importante dopo Kant e della filosofia di Kant rappresenta uno sviluppo, anche se dagli esiti piuttosto divergenti rispetto al criticismo. La cultura illuministica e Kant avevano messo in luce i limiti dell’essere umano e la sua tendenza a cercare l’infinito. Il Romanticismo eredita questa contrapposizione, la esalta e cerca di superarla. In questo quadro si spiegano i capisaldi del pensiero romantico:

1. la tensione verso la totalità e l’infinito: in contrasto contro la tendenza al finito del classicismo, il romanticismo esalta l’infinito. L’uomo si sente parte di un tutto da cui è separato e cui vuole ricongiungersi. L’uomo perciò tende all’infinito e si pone come “passione dell’infinito”. Il termine tedesco che descrive questa condizione è

Sensucht, “struggimento” (dovuto alla tensione insoddisfatta verso il tutto da cui ci si sente separati) o “malattia dell’anelare”.

2. il titanismo [termine che deriva da titano, con riferimento alla ribellione dei Titani contro gli dèi dell’Olimpo e, in particolare, alla sfida di Promèteo contro il potere di Zeus]. Il rapporto con l’infinito può essere vissuto anche come un rapporto di sfida e di ribellione. Io sono parte di un tutto (la natura matrigna di cui parla Leopardi, ad es.) contro cui assumo un atteggiamento di ribellione, pur nella consapevolezza del mio fallimento. Il titanismo è la ribellione contro tutte le forze superiori all’individuo

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(divinità, destino, natura, potere dispotico sia politico sia economico-sociale, ecc.). E’ la ribellione del finito contro l’infinito.

3. l’ottimismo metafisico: d’altra parte, molte filosofie romantiche esaltano l’infinito come perfezione e razionalità; in questo quadro, il dolore, l’insoddisfazione, ecc. trovano il loro significato e si superano nel culto della totalità. I drammi del singolo assumono un altro significato se vengono inquadrati nella dimensione della totalità. Ad esempio, ciò che può essere visto come un dramma per un individuo (il soffrire in una guerra che abbia come scopo di abbattere la tirannide), assume un significato positivo se quella stessa guerra viene inquadrata nel processo di miglioramento della società e della civiltà: quella lotta creerà una società più giusta e ne beneficeranno altri esseri umani. Ciò che è male per il singolo è bene per il tutto.

4. il provvidenzialismo storico: è un concetto connesso all’ottimismo metafisico. La storia segue un disegno, realizza degli scopi, è guidata dalla razionalità. Anche le vicende negative assumono un senso positivo nel disegno complessivo che guida lo sviluppo degli eventi (cfr. la Provvidenza cristiana o la Ragione di cui parla Hegel).

5. il tradizionalismo: è un concetto connesso al provvidenzialismo. La tradizione non è come sostenevano gli illuministi un cumulo di errori e superstizioni, ma va valorizzata perché i vari momenti storici preparano l’affermazione della razionalità e del bene. A questo atteggiamento si ricollega ad esempio la riscoperta romantica del Medioevo come epoca storica in cui sono nate le nazioni moderne.

• Cominciamo dunque a vedere come il kantismo e l’illuminismo siano entrati in crisi con i cosiddetti seguaci immediati di Kant, che muovono delle obiezioni al suo sistema filosofico. Tra di essi citiamo i seguenti pensatori:

Schulze (1792)

Secondo Kant la cosa in sé è inconoscibile, dunque di essa non si può dire nulla, neanche che sia causa della rappresentazione (scetticismo). Kant perciò si contraddice sostenendo che essa è la causa delle nostre rappresentazioni.

Jacobi (1787)

Kant asserisce che la cosa in sé è causa delle nostre sensazioni, ma così facendo si contraddice perché applica al rapporto fenomeno-noumeno il nesso causale, che invece è valido solo tra i fenomeni. “Il sole scalda la pietra” è un giudizio causale legittimo perché mette in rapporto due oggetti fenomenici attraverso il nesso fenomenico di causalità. Dire invece che il fenomeno è causato dal noumeno,

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significa uscire dal campo del fenomeno e applicare il nesso causale tra fenomeno e noumeno, e questo è illecito.

Fichte e Schelling

Fichte: idealismo soggettivo o etico

Vita e opere:

• 1762 – 1814

• povero, riesce però a studiare teologia grazie a un benefattore • affascinato da Kant, si reca da lui e ne diviene amico

• professore universitario, si dimette con accuse di ateismo

• 1808, incita i giovani con i Discorsi alla nazione tedesca, dopo che le campagne napoleoniche hanno smembrato la Prussia

• nel 1813 si unisce ai combattenti nella battaglia di Lipsia con la quale la Germania ebbe la riscossa contro Napoleone;

ma prende dalla moglie, che cura i feriti negli ospedali, una febbre epidemica e muore nel 1814

• opere: Discorsi alla nazione tedesca; Fondamenti della dottrina della scienza

1. La filosofia di Fichte viene definita idealismo soggettivo (o etico) perché elimina il noumeno kantiano (ritenuto qualcosa di contraddittorio: se esso è inconoscibile, allora non è lecito, sul piano teoretico, affermarne o negarne l’esistenza) e riduce tutta la realtà a rappresentazione o atto del soggetto (Io).

2. Principio di ogni cosa è dunque l’Io puro, cioè non l’Io empirico di questo o di quell’uomo, ma l’Io nella sua universalità, come natura costitutiva di qualsiasi uomo.

3. L’Io puro viene inteso da Fichte non come una sostanza stabile e permanente, ma come un’attività che non subisce imposizioni dall’esterno, ma cerca e costruisce da se stessa la propria verità e la propria felicità. In questo egli è vicino alla concezione dell’uomo elaborata nel Rinascimento: l’uomo è l’unica creatura la cui essenza consiste nel non avere un’essenza prestabilita, ma che è chiamato a darsela secondo le proprie scelte morali: cfr. l’orazione di Pico della Mirandola Sulla dignità dell’uomo, in cui Dio dice all’uomo: “tu sei l’unica creatura che può scegliere di essere quello che vuole, angelo o bestia”. Ma questa concezione dell’uomo va ricondotta anche all’atmosfera illuministica entro cui il filosofo è vissuto: l’idea che l’uomo possa dominare la realtà con la propria ragione e con il proprio spirito, trova un corrispettivo metafisico nell’elaborazione della teoria idealistica secondo cui tutto è spirito e nulla si sottrae alla razionalità umana: tutta la realtà è spirituale e razionale, nessun “noumeno” limita l’uomo.

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4. Proprio per esplicare la sua natura attiva, l’Io pone il non-Io, ovvero l’ostacolo che deve necessariamente avere davanti e tentare di superare. Non c’è infatti alcuna attività se non vi sono ostacoli da superare. Solo così è possibile intendere l’Io come un’attività.

5. Nel porre davanti a sé l’ostacolo (che Fichte chiama non-Io), l’Io si limita e diventa molteplice. Ecco allora che dall’unicità dell’Io puro indivisibile si passa alla molteplicità degli Io empirici, che costituiscono l’umanità.

6. Questo triplice processo che spiega la derivazione di tutta la realtà dall’Io, viene riassunto da Fichte in tre momenti, che egli chiama “i tre principi della dottrina della scienza”:

a) l’Io pone se stesso; b) l’Io pone il non-Io;

c) nell’atto di limitarsi ponendo il non-Io, l’Io diventa molteplice e si frantuma in una moltitudine di Io empirici.

7. E’ un processo logico e non cronologico. Va inteso perciò come qualcosa di eterno e fuori dal tempo. Ciascuno dei tre momenti non viene uno dopo l’altro ma ciascuno implica logicamente l’altro, come in una formula matematica: i singoli elementi di cui essa è costituita non vengono uno dopo l’altro, ma si implicano e si comprendono a vicenda, tanto che nell’atto in cui si parla dell’uno occorre fare necessariamente riferimento all’altro e non è possibile isolarli e separarli.

8. Il compito dell’uomo, ovvero dei singoli Io empirici derivanti dalla frantumazione dell’Io puro, è quello di superare la scissione raggiungendo la situazione dell’Io puro privo di limiti e di ostacoli, perciò libero e infinito, incondizionato, non limitato da nulla. Ecco allora che per gli Io empirici, questo processo di superamento del non-Io può essere inteso solo come un ideale; cioè non è mai una realtà in atto ma una meta ideale del loro agire. Fichte sostiene che per gli Io empirici l’infinito e la libertà non esistono come realtà in atto, ma come continuo sforzo o tensione per raggiungerli (Streben). Meglio parlare perciò di infinitizzazione più che di infinito, per gli uomini.

9. Il processo di infinitizzazione degli io empirici va inteso come un processo

inesauribile, perché deriva dalla stessa struttura logica (e non cronologica: non ha perciò un inizio e una fine, ma è eternamente in atto nelle stesse modalità) della realtà (Io – non-io – frantumazione degli io e loro tentativo di ripristinare l’unità originaria).

10. Ciò spiega anche perché l’idealismo di Fichte viene caratterizzato come

idealismo etico: l’Io empirico è costituito da un preciso compito, un dovere inesauribile, di superamento del limite, che si rivela essere la caratteristica principale del suo essere.

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11. Dal punto di vista politico, Fichte sostiene che l’integrazione dei diversi popoli condurrà alla ricomposizione dell’intera umanità in un unico Io, riaffermando l’unità originaria. In questo processo di integrazione il popolo tedesco ha un ruolo di guida: da qui il nazionalismo di Fichte.

Schelling idealismo oggettivo

Vita e opere

• 1775 – 1854 (nasce quasi negli stessi anni di Hegel, ma gli sopravvive di circa un ventennio);

• condiscepolo di Hegel a Tubinga, fonda insieme a lui il Giornale critico di filosofia, ma poi ruppe con l’amico quando questi pubblicò la Fenomenologia, in cui mostrava di voler percorrere altre vie;

• fu professore a Jena, dove intorno a lui si formò il primo nucleo della scuola romantica (fratelli Schlegel); poi a Monaco e infine a Berlino;

• opere: Idee sulla filosofia della natura; Sistema dell’idealismo trascendentale; Esposizione del mio sistema.

a) La filosofia di Schelling viene definita idealismo oggettivo (o filosofia della identità) poiché, reagendo all’idealismo soggettivo di Fichte che relega la natura al ruolo di semplice non-Io, restituisce ad essa la sua realtà e la sua dignità mettendola sullo stesso piano dell’Io.

b) Secondo Schelling infatti occorre porre come originario un principio concepito come unità indifferenziata (o identità) da cui derivano sia la natura che lo spirito, il soggetto e l’oggetto. Schelling identifica tale principio nell’Assoluto, unità indifferenziata o identità di soggetto e oggetto. L’Assoluto di Schelling assomiglia perciò alla Sostanza spinoziana che pur essendo unica, si differenzia negli attributi dell’estensione e del pensiero. Ma mentre la Sostanza di Spinoza era concepita come qualcosa di statico, ovvero come l’ordine oggettivo che costituisce la realtà, l’Assoluto di Schelling è dinamico e perciò assomiglia anche all’Io di Fichte che intendeva quest’ultimo come un’incessante attività di superamento del non-Io.

c) Diversamente da Fichte, Schelling sostiene però che la natura (il non-Io) non è un semplice strumento dello spirito per la realizzazione della vita morale, ma possiede un suo valore autonomo, e differisce dallo spirito solo perché è un’attività spirituale di grado inferiore o inconscia che tende verso la coscienza come la meta di un lungo processo che si compie soltanto nell’uomo. La natura è infatti una realtà dinamica e intimamente spirituale, una gradualità di processi (dall’azione delle forze più elementari che agiscono nel mondo inorganico alla formazione di organismi naturali sempre più evoluti e coscienti) entro i quali una coscienza addormentata si viene progressivamente svegliando. Si ha così una negazione della realtà della materia che viene ricondotta allo spirito sotto forma di forze di attrazione e repulsione.

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d) L’idea di fondo della filosofia di Schelling è che esiste uno stesso slancio vitale che percorre e unisce natura e spirito, mondo e io, realtà materiale e realtà ideale. Essi formano una totalità, un organismo universale. Il sistema della natura e il sistema dello spirito non mettono dunque in luce che i due aspetti di uno stesso essere (cfr. la Sostanza di Spinoza e i due attributi in cui si manifesta) che può essere ritrovato

percorrendo due vie diverse: partendo dalla natura per risalire allo spirito oppure partendo dallo spirito per risalire alla natura.

L’analisi filosofica di Schelling si articola perciò in due momenti:

1) Prima via: la filosofia della natura, che parte dall’oggettivo per derivarne il soggettivo. Essa descrive lo sviluppo della natura, intesa come una realtà organica unitaria, dalle sue forme più semplici (regno minerale, vegetale, animale, ecc.) fino all’emergere dello Spirito, con l’uomo.

2) Seconda via: la filosofia trascendentale, che parte dal soggettivo per derivarne l’oggettivo. Essa descrive come la spiritualità inconscia divenga Spirito consapevole nell’uomo e plasmi la realtà e la Storia.

In un primo momento l’uomo avverte la natura come qualcosa di completamente distinto da sé (sensazione) e le ragioni per cui ciò avviene sono analoghe a quelle che esponeva Fichte: l’io ha bisogno di avere di fronte a sè degli oggetti avvertiti come estranei per poter esplicare quell’attività che costituisce la sua natura. L’io poi passa attraverso altre fasi di sviluppo fino a riconoscersi, nel momento conclusivo (riflessione e atto assoluto di volere), come costitutivo della realtà stessa. Il soggetto avverte di essere padrone e plasmatore della natura e della realtà, che non percepisce più come estranea a sé ma in suo potere e totalmente plasmata dalle sue strutture soggettive (cfr. Kant: il soggetto plasma l’oggetto; idealismo trascendentale). Riassumendo, possiamo dire che Schelling traccia una vera e propria storia filosofica dell’Io, individuando tre momenti:

1. Prima epoca: sensazione (l’oggetto è avvertito come estraneo, come un dato che limita l’io)

2. Seconda epoca: intuizione (l’io comincia ad avvertire se stesso, ma si sente ancora immerso negli oggetti)

3. Terza epoca: riflessione e volontà (l’Io si sente padrone degli oggetti e diventa consapevole di poterli gestire con la propria volontà). Entriamo qui nel mondo umano e nel campo della Storia, dove l’Io diventa padrone di sé e si autodetermina.

• Come abbiamo appena mostrato, secondo Schelling l’acquisizione della consapevolezza dell’Assoluto, ovvero dell’identità di natura e spirito, si può raggiungere attraverso le due vie descritte (filosofia della natura e filosofia trascendentale). Tali vie offrono però un tipo di consapevolezza ricostruita, mediata, indiretta (sempre collegata alle due polarità dell’oggettivo e del soggettivo), e non immediatamente intuitiva e chiara. Questa consapevolezza immediata si può avere

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solo per via estetica. Nell’attività creatrice dell’arte si ha la sintesi di soggetto e oggetto, spirito e natura, conscio e inconscio. L’artista infatti quando crea è insieme esecutore cosciente della sua opera, ma produce anche per ispirazione, attraverso cioè una forza inconscia che quasi lo trascende e lo domina. Il vertice della conoscenza non è perciò la ragione ma l’arte, sintesi di conscio e inconscio. E’ questa una delle caratteristiche peculiari dell’idealismo di Schelling, che perciò è stato anche caratterizzato come idealismo estetico.

e) La filosofia di Schelling è una forma di monismo idealistico perché sostiene che tutta la realtà è la manifestazione di un unico principio spirituale. Questo principio si ravvisa in tutti gli aspetti della realtà sia quelli inconsci (la natura) sia quelli consci (il mondo umano, la Storia, ecc.).

Fichte e Schelling

Fichte

• Idealismo soggettivo (elimina il noumeno e riduce tutto all’Io, al soggetto); • Idealismo etico: l’Io viene inteso come un’attività;

• I tre momenti dell’attività dell’Io: L’Io pone se stesso, L’Io pone il non-Io Nell’atto di limitarsi, l’Io diventa molteplice;

• Il legame tra questi tre momenti è logico e non cronologico; • L’uomo ha come ideale di ricostituire l’unità originaria.

Tale compito si configura come inesauribile visto il carattere logico e non cronologico della scissione

• Compito del popolo tedesco nel tentativo di ricomporre la scissione.

Schelling

• Rimprovera a Fichte di aver ridotto la natura a semplice non-Io

1) Riabilita la natura elaborando la filosofia dell’identità: il principio originario della realtà non è l’Io ma l’Assoluto, ovvero l’identità indifferenziata di soggetto e oggetto da cui derivano sia l’Io sia il non-Io, ovvero lo spirito e la natura;

2) La natura non è il semplice non-Io, strumento dello spirito per la realizzazione della vita morale, ma è anch’essa un’attività spirituale anche se di grado inferiore o inconscia rispetto a quella dell’Io.

• Spirito e natura costituiscono un unico slancio vitale, un’unica totalità (monismo idealistico) che può essere percorsa seguendo due vie differenti:

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1) Filosofia della natura: parte dalla natura e risalire via via dalle sue forme più organizzate e consapevoli fino all’emergere dell’uomo;

2) Filosofia trascendentale: descrive come lo Spirito divenga consapevole nell’uomo fino a plasmare la realtà e la storia ricostruzione di questa genesi dello Spirito:

sensazione (l’oggetto è avvertito come estraneo)

intuizione (l’io comincia ad avvertire se stesso, ma si sente ancora immerso negli oggetti)

riflessione e volontà

• l’idealismo di Schelling viene definito estetico perché solo nell’arte si può ritrovare in maniera immediata quella identità di conscio e inconscio che costituisce l’intima essenza dell’Assoluto.

Relazioni tra Fichte, Schelling ed Hegel:

• Fichte è il più vecchio dei tre; Schelling ed Hegel, più giovani, sono condiscepoli a Tubinga, si conoscono e collaborano;

• Fichte viene riconosciuto sia da Schelling che da Hegel come il fondatore dell’idealismo, ma:

1) Schelling gli rimprovera di non aver saputo cogliere l’oggetto e la natura; 2) Hegel gli rimprovera di non aver saputo cogliere la storia e l’Assoluto.

• Hegel rimprovera a Schelling due cose:

1) l’Assoluto non è un’unità indifferenziata di Natura e Spirito, soggetto e oggetto (“l’infinita notte in cui tutte le vacche sono nere”), ma unità formale che contiene in sé virtualmente tutte le determinazioni formali della realtà (= pensabilità del reale); 2) l’Assoluto non si coglie attraverso un atto intuitivo immediato, come è l’intuizione estetica (“un colpo di pistola”, scrive Hegel), ma attraverso la ricostruzione lenta e graduale di un processo e di uno sviluppo. Il vero è l’intero scrive Hegel e l’intero è il risultato assieme a tutto il processo che lo ha prodotto.

Percorso breve sull’idealismo tedesco

• Fichte: la necessaria correlazione tra Io e non-Io; l’Io come attività che ha bisogno di un ostacolo per esplicarsi. L’Assoluto come ideale (Streben)

• Schelling: la polemica sul non-Io di Fichte e la rivalutazione della Natura. Tutta la realtà è concepita come un grande organismo con differenti gradi di coscienza. L’arte come strumento privilegiato per cogliere l’Assoluto.

• Hegel: la ripresa di Fichte e di Schelling. Il distacco da Schelling: per cogliere come si articola l’Assoluto bisogna servirsi della filosofia e non dell’arte.

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• Ricostruzione sommaria della visione della realtà elaborata da Hegel mediante l’esposizione dei capisaldi del suo pensiero (il finito non esiste, la dialettica, il reale è razionale, la funzione giustificatrice della filosofia). Cenni alla Filosofia della Natura e alla Filosofia dello Spirito, in particolare a quella dello Spirito oggettivo.

• Trattazione della figura del servo-padrone per illustrare un esempio di analisi dialettica.

• Trattazione di un tema esemplare per illustrare la filosofia di Hegel: la filosofia della Storia.

Hegel

La ripresa e il distacco da Schelling: la superiorità della filosofia sull’arte

Hegel prosegue l’impostazione di Schelling e ritiene che tutta la realtà sia la manifestazione dello Spirito o della Ragione. (Il grande ideale degli Illuministi è diventato realtà!) Ritiene però che lo strumento per cogliere il carattere spirituale della realtà non sia l’arte ma la filosofia perché essa usa i concetti che permettono di cogliere i collegamenti tra tutte le cose e perciò la profonda unità di tutte le cose che ci sembrano separate e finite (il non-Io di Fichte). Tutte le cose in realtà sono l’espressione di un unico principio spirituale (l’Io di cui parlava Fichte) e ciò tutto ciò che ci appare finito le opposizioni, i contrasti tra le cose, tra l’Io e il non-Io, il soggetto e l’oggetto, l’io e il mondo, ecc. – in realtà non esiste.

I capisaldi della filosofia di Hegel

In effetti per Hegel tutto ciò che noi chiamiamo finito non esiste. L’esempio del fiore e del frutto lo dimostra. La verità sta nell’intero (il vero è l’intero) e poiché solo il concetto consente di cogliere la totalità, solo la filosofia può cogliere perfettamente l’Assoluto. Altri esempi del vero è l’intero, oltre al fiore: la Storia, la totalità della persona, le anime dantesche, ecc..

• Intelletto e Ragione. Inversione rispetto a Kant: ciò che è razionale è reale. • La filosofia come la nottola di Minerva.

• Per cogliere l’assoluto occorre utilizzare una nuova logica che includa le contraddizioni, la dialettica.

Tutta la realtà come manifestazione dello Spirito

Hegel ricostruisce perciò tutto lo sviluppo della realtà. Nella sua Filosofia della Natura (analogamente a quanto aveva fatto Schelling) mostra come tutta la natura sia pervasa da forze spirituali, dai suoi strati più bassi, fino agli organismi più complessi.

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Tra questi il più complesso di tutti è l’uomo, che riesce a sviluppare una coscienza sempre più raffinata che gli consentirà di prendere coscienza dell’essenza spirituale di tutto ciò che esiste e del carattere razionale di tutta la realtà (in fondo è solo nella mente dell’uomo, l’unico essere che è in grado di elaborare una filosofia della natura, che la natura svela il suo carattere razionale! La natura pensa se stessa attraverso l’uomo). Tutto è spirituale, tutto è Io, ma solo negli organismi più elevati, come sosteneva Schelling, la coscienza di ciò si sviluppa.

Nell’uomo e nelle società lo Spirito trova il luogo dove svilupparsi meglio

Hegel sostiene che l’uomo è l’organismo più complesso che vi sia in natura, ma è anche vero che esistono al di sopra di lui degli organismi ancora più complessi, all’interno dei quali egli vive e si sviluppa. Questi sono le istituzioni collettive (famiglia, società, popolo, Stato), che Hegel chiama spirito oggettivo (per distinguerle dallo spirito individuale che si realizza nei singoli soggetti). E’ in questi macro organismi che lo spirito raggiunge il suo massimo sviluppo. Ad esempio, nel rapporto tra classi superiori e classi asservite si crea una dialettica che fa progredire lo Spirito. (Eventuale es.: la figura fenomenologica di signoria e servitù, riconducibile alla società antica: è un esempio di come la coscienza progredisca nell’individuo e diventi sempre più raffinata attraverso il contrasto con altri individui dotati di coscienza; l’uomo diventa così sempre più consapevole della propria indipendenza dalla natura, dall’oggetto e della sua superiorità su di essa, che è il tema ricorrente della filosofia di Hegel).

L’evoluzione dello Spirito oggettivo

Anche questi macro organismi però sono soggetti a delle forme di sviluppo. Quelli più primitivi sono inferiori a quelli più evoluti. Le tribù primitive sono meno evolute degli Stati feudali, e così via. In particolare, è negli Stati moderni che garantiscono sempre più diritti e libertà agli individui che lo Spirito raggiunge il massimo grado di sviluppo. E’ in questi Stati che si avverte come la realtà risponda perfettamente ai bisogni dell’uomo e il mondo si configuri pienamente a immagine della Ragione. Non c’è più distacco tra Io e Mondo, Soggetto e Oggetto, ma identità e corrispondenza. L’Assoluto è stato raggiunto (“L’ingresso di Dio nel mondo è lo Stato”). Il mondo risulta l’immagine speculare della Ragione umana (il grande ideale degli Illuministi si è realizzato). Perciò, la Storia del mondo non è altro che la storia dei continui progressi che la coscienza umana effettua nel tempo, attraverso il succedersi di società sempre più evolute e civili, fino al punto d’approdo che è l’epoca in cui Hegel vive, quella dell’Illuminismo in cui l’umanità prende coscienza che la ragione umana può dominare il mondo, che tra soggetto e oggetto non vi è più separazione ma identità.

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La necessità per lo spirito infinito di articolarsi in un mondo finito

Ci si potrebbe chiedere perché sia necessario questo lungo cammino perché lo Spirito prenda coscienza di sé e si realizzi. La risposta è che lo Spirito è soggetto a sviluppo perché l’opposizione tra Io e non-Io di cui parlava Fichte è necessaria per la vita dello Spirito. Mentre però per Fichte il processo di razionalizzazione del mondo non si concludeva mai e l’uomo veniva concepito come un essere perennemente in tensione verso l’Assoluto (Streben), per Hegel invece il percorso a un certo punto si conclude nella sua epoca e finalmente l’uomo riesce ad acquisire la consapevolezza che tutto è razionale attraverso la filosofia.

La Storia universale

La concezione della Storia come esemplificazione del modo di pensare di Hegel.

Il sistema filosofico elaborato da Hegel

L’Io implica necessariamente il non-Io. Il non-Io consente all’Io di esplicarsi come attività e di acquisire consapevolezza di sé, di pensarsi; la sintesi di Io e non-Io conduce cioè ad un incremento di consapevolezza dell’Io. Hegel sostiene perciò che lo sviluppo di tutta la realtà avviene attraverso tre momenti fondamentali:

1) l’Io o Idea;

2) il non-Io o Natura;

3) lo Spirito, inteso come momento di accresciuta consapevolezza raggiunta dall’Io dopo essersi estraniato nel non-Io

Questi tre momenti corrispondono al sistema di Hegel:

1) l’Idea è studiata da quella parte del suo sistema che Hegel chiama Logica; 2) la Natura è studiata nella Filosofia dello Spirito;

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SCHOPENHAUER

Schopenhauer si pone come punto d’incontro tra esperienze filosofiche eterogenee: Platone, Kant, Romanticismo, Idealismo e la spiritualità indiana. Di Platone lo attrae la teoria delle idee; da Kant deriva l’imposizione soggettivistica della gnoseologia; dell’illuminismo lo interessano il filone materialistico e quello dell’ideologia, da cui mutua la tendenza a considerare la vita psichica e sensoriale in termini di fisiologia del sistema nervoso; dal romanticismo trae alcuni temi di fondo del suo pensiero come l’irrazionalismo, l’importanza attribuita all’arte e alla musica e il tema dell’infinito, cioè la tesi della presenza nel mondo di un principio assoluto di cui le varie realtà sono manifestazione transeunti, altro motivo romantico è quello del dolore, tuttavia mentre sul piano filosofico il Romanticismo mostra una tendenza globalmente ottimistica, Schopenhauer appare orientato a una visione pessimistica della realtà.

Velo dei maya

Il punto di partenza della sua filosofia è la distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno, ma questa distinzione ha poco in comune con quella effettiva kantiana, se infatti per quest’ultimo il fenomeno era la realtà (l’unica accessibile alla mente umana) e il noumeno era un concetto- limite che rammentava all’uomo i limiti della conoscenza, per Schopenhauer il fenomeno è illusione, sogno (denominato velo dei Maya dalla sapienza indiana) mentre il noumeno è quella realtà che si nasconde dietro l’ingannevole trama del fenomeno. La rappresentazione ha due aspetti essenziali e inseparabili la cui distinzione costituisce la forma generale della conoscenza: da una parte c’è il soggetto rappresentante dall’altra l’oggetto rappresentato. Soggetto e oggetto esistono come elementi imprescindibili della rappresentazione così se il materialismo è falso perché nega il soggetto riducendolo all’oggetto o alla materia, l’idealismo è errato in quanto compie il tentativo opposto e impossibile di negare l’oggetto riducendolo al soggetto. Egli ritiene che la nostra mente risulta corredata da forme a priori, tuttavia a differenza di Kant, ammetta solo tre forme a priori (spazio, tempo e causalità); quest’ultima è l’unica categoria in quanto le altre sono riconducibili ad essa e in quanto la realtà stessa dell’oggetto si risolve nella sua azione causale sugli altri oggetti. La causalità assume diverse forme in base agli ambiti in cui opera, manifestandosi come necessità fisica, logica, matematica e morale, ovvero come principio del divenire (regola i rapporti tra gli oggetti naturali), del conoscere (regola i rapporti tra premesse e conseguenze), dell’essere (regola i rapporti spazio-temporali e le connessioni aritmetico-geometriche), e dell’agire (regola le connessioni tra azione e i suoi motivi). Attraverso le forme a priori la visione delle cose si deforma, e definisce la vita come un sogno cioè un tessuto di apparenze. L’uomo è considerato un animale metafisico

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che è portato a stupirsi della propria esistenza e a interrogarsi sull’essenza ultima della vita.

Tutto è volontà

Se noi fossimo soltanto conoscenza e rappresentazione non potremmo uscire dal mondo fenomenico ma poiché sia dati a noi stessi anche come corpo, non ci limitiamo a vederci da fuori ma ci viviamo anche da dentro, godendo e soffrendo, ed è proprio per questo che permette all’uomo di squarciare il velo del fenomeno e di afferrare la cosa in sé, ripiegandoci su noi stessi ci rendiamo conto dell’essenza profonda del nostro io, la cosa in sé del nostro essere, è la brama o la volontà di vivere.

Dall’essenza del corpo all’essenza del mondo

Quando io vivo il mio corpo lo sottraggo all’approccio fenomenizzante, cioè smetto di usare spazio, tempo e causalità. In tal modo mi privo degli strumenti che individuano gli oggetti, cioè che pongono i fenomeni come una molteplicità di cose distinte, il principio di individuazione consiste proprio nell’apparato di forme e categorie attraverso il quale il soggetto si rappresenta gli oggetti. Per questo l’essenza che riscontro del mio corpo ha perso i limiti dell’individualità, pertanto è corretto di parlare di fenomeni al plurale ma di noumeno al singolare perché non operano né spazio né tempo. L’io di Schopenhauer si qualifica come la coincidenza di coscienza, volontà e corpo, non vi è dunque la rinuncia delle componenti umane che vengono invece viste nella loro unità.

Caratteri e manifestazioni della volontà di vivere

Essendo al di là del fenomeno, la volontà di vivere presenta caratteri contrapposti a quelli del mondo della rappresentazione in quanto si sottrae alle forme proprie di spazio, tempo e causalità. La volontà primordiale è inconscia, indica il concetto più generale di energia o impulso, la volontà risulta unica, poiché esistendo al di fuori dello spazio e del tempo si sottrae al principio di individuazione. La volontà è anche eterna e irraggiungibile, poiché essendo oltre la forma del tempo è un principio senza inizio e senza fine. La volontà si configura anche come una forza libera e cieca, ossia come energia incausata, senza uno scopo; infatti noi possiamo cercare la ragione di questa o quella manifestazione fenomenica della volontà ma non della volontà in sé stessa.

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Il pessimismo

La vita è dolore per essenza, infatti volere significa desiderare e ciò significa trovarsi in uno stato di tensione per la mancanza di qualcosa che si vorrebbe avere. Quindi il desiderio è assenza, vuoto ossia dolore. Poiché nell’uomo la volontà è più cosciente che negli altri esseri, proprio l’uomo risulta il più bisognoso e mancante, destinato a non trovare mai un appagamento definitivo. Ciò che gli uomini chiamano godimento o gioia non è altro che una cessazione di dolore, perché ci sia piacere bisogna per forza che ci sia uno stato precedente di tensione o dolore. La stessa cosa non vale per il dolore, che non può essere ridotto, un individuo può infatti sperimentare una catena di dolori senza che questi siano preceduti da altrettanti piaceri, mentre ogni piacere nasce come cessazione di qualche persistente tensione fisica o psichica, pertanto il piacere è solo una funzione derivata dal dolore. Accanto al dolore subentra la noia, la quale subentra quando viene meno l’aculeo del desiderio oppure quando cessano le attività e le preoccupazioni. La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando attraverso l’intervallo fugace del piacere e della gioia. Poiché la volontà di vivere che è tensione perennemente insoddisfatta che si manifesta sotto forma di una vera e propria Senshucht cosmica, il dolore non riguarda solo l’uomo ma investe ogni creatura. L’uomo soffre più delle altre creature perché è destinato a sentire in modo più accentuato la spinta della volontà e a patire maggiormente l’insoddisfazione dei propri desideri e l’offesa dei valori. Il filosofo perviene nella forma di pessimismo cosmico che afferma che il male non è solo nel mondo, ma nel principio stesso da cui dipende.

Le vie della liberazione dal dolore

Schopenhauer afferma che l’esistenza, in virtù del dolore che la costituisce, risulta una cosa tale che si impara poco per volta a non volerla. Si potrebbe pensare che il suo sistema metta a caso una filosofia del suicidio universale ma in realtà egli condanna il suicidio per due motivi di fondo: il suicidio è atto di forte affermazione della volontà, infatti anziché negare la volontà egli nega piuttosto la vita; il suicidio sopprime soltanto una manifestazione fenomenica della volontà di vivere e lascia intatta la cosa in sé, la quale, pur morendo in un individuo rinasce in mille altri. Pertanto la vera risposta alla liberazione del dolore dal mondo consiste nella stessa volontà di vivere; esistono quindi degli individui eccezionali che in tutti i tempi hanno intrapreso il cammino della liberazione di sé stessi dalla volontà di vivere e dalla tirannia, a essa connessa, dei bisogni e dell’egoismo. E’ con la presa di coscienza del dolore e con il disinganno di fronte alle illusioni dell’esistere che prende avvio il cammino di liberazione dell’individuo. Le vie della liberazione dal dolore sono tre: arte, morale e ascesi. L’arte è conoscenza libera e disinteressata che si rivolge alle idee, ossia alle forme pure, il soggetto che contempla le idee, ovvero gli aspetti universali della realtà, non è più l’individuo naturale particolare ma il puro soggetto del conoscere, il puro occhio del mondo. L’arte sottrae l’individuo alla

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catena infinita dei bisogni e dei desideri, offrendogli un appagamento compiuto e immobile. Tra le arti spicca la tragedia che costituisce l’autorappresentazione del dramma della vita, la musica si pone come immediata rivelazione della volontà a sé stessa. Ogni arte è quindi liberatrice, poiché il piacere che essa procura è la cessazione del bisogno, raggiunta attraverso lo svincolarsi della conoscenza della volontà e il suo porsi come disinteressata contemplazione. La morale implica un impegno nel mondo a favore del prossimo, l’etica costituisce infatti un tentativo di superare l’egoismo e di vincere quella lotta incessante degli individui tra loro che costituisce l’ingiustizia che rappresenta una delle maggiori fonti di dolore per l’uomo. L’etica sgorga da un esperienza vissuta, ovvero da un sentimento di pietà, di compassione attraverso cui avvertiamo come nostre le sofferenze degli altri. Non è conoscenza a produrre moralità ma è la moralità a produrre la conoscenza. Solo per un sogno illusorio il malvagio si crede separato dagli altri e dal loro dolore ma il rimorso temporaneo e la duratura angoscia che accompagna i suoi misfatti costituiscono la consapevolezza dell’unità del valore cosmico. La moralità si concretizza in due virtù: la giustizia che consiste nel non fare il male e nel riconoscere agli altri ciò che siamo pronti a riconoscere per noi stessi; la carità si identifica con la volontà positiva e attiva di fare del bene al prossimo. Sebbene la morale rimane sempre all’interno della vita e presuppone un qualche attaccamento ad essa, per questo egli non si accontenta di approfondire l’esperienza della pietà ma prosegue nella liberazione totale non solo dall’egoismo e dall’ingiustizia, ma dalla stessa volontà di vivere. Questa liberazione si raggiunge con l’ascesi, esperienza attraverso la quale l’individuo si propone di estirpare il proprio desiderio di esistere, di godere e di volere.

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KIERKEGAARD

È un grande pensatore: introduce temi e questioni che rivoluzionano la filosofia. È riconosciuto come il fondatore dell’esistenzialismo, cioè di quella corrente filosofia che si svilupperà tra il 1930 e porrà al centro della sua indagine l’esistenza umana e tremi come la finitezza, la scelta, il rischio, la disperazione, la possibilità. Kierkegaard, ultimo critico di Hegel, appartiene, così come Schopenhauer, alla

reazione antiHegeliana: Hegel, con la sua filosofia, non aveva presentato il mondo nella giusta prospettiva. Per molti versi ricorda Schopenhauer: è ai margini delle filosofia del suo tempo, è convinto che un giorno sarà ricordato tra i grandi del pensiero e rifiuta il panlogismo Hegeliano, ovvero l’identità tra reale e razionale. Kierkegaard mette in discussione il primato della ragione e della conoscenza, che troviamo nella filosofia di Schopenhauer, e asserisce la superiorità della fede sul sapere. A suo modo di vedere, le filosofie tradizionali sbagliano perché vogliono scoprire la verità sul mondo, senza comprendere che l’unica verità importante è quella che tocca la reale esistenza di ciascuno. Kierkegaard riflette non sull’essere ma sull’esistere (Existere, provenire da, uscire dal nulla significa scegliere): al centro della ricerca filosofica sono il singolo e la sua esistenza concreta, perché ciò che conta è comprendere il senso e il valore della vita individuale. Non si può però parlare della vita umana, del suo valore e del suo senso, senza fare riferimento al rapporto con Dio, ma tale rapporto va svincolato dalla consuetudine della pratica religiosa. Secondo Kierkegaard, infatti, il disegno di Dio è insondabile e la salvezza è un dono agli uomini che si avvicinano a Dio non attraverso ragionamenti e pratiche, bensì esclusivamente attraverso la fede. L’uomo non deve conoscere Dio, ma abbandonarsi ad esso. (Pascal)

La vita Nasce a Copenaghen (Danimarca) nel 1813. Figlio di un agiato commerciante, ebbe un’infanzia caratterizzata da una rigida educazione religiosa. Una serie di lutti famigliari, quali la morte del padre e di cinque fratelli, gli impedisce di diventare il pastore protestante che il padre voleva. Si laurea nell’università di Copenaghen in filosofia e teologia. In questi anni vive una tormentata vicenda con Regina Olsen, di famiglia borghese: la chiede in sposa, ma rescisse poco prima delle nozze il fidanzamento. Negli anni seguenti mostrò di esserle ancora molto legato, ma non offrì mai nessuna spiegazione del suo allontanamento, se non un vago riferimento a un tormento profondo. Frequenterà le lezioni di Schelling, ma in poco tempo l’iniziale entusiasmo si spense. Nella vita pubblica si presenta come un dandy raffinato e snob, ma al suo Diario confidava di sentirsi isolato, straniero nel mondo. Muore quarantenne nel 1855. La filosofia dell’esistere La filosofia di Kierkegaard si occupa dell’esistenza umana, affidata al possibile, alla situazione del forse. Il filosofo esce dalle categorie Hegeliane e assume come oggetto di indagine il singolo. Il singolo è la categoria originale ed insostituibile dell’esistenza, superiore all’intero genere umano. La verità riguarda sempre e solo l’individuo ed ha senso nella

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dimensione esistenziale di ciascuno di noi. Concetti generali come totalità, stato, popolo, umanità sono del tutto astratti, rispondono a prospettive quantitative e generiche. Nel Singolo invece la prospettiva è solo qualitativa e non mira al sapere o alla conoscenza di verità assolute ma solo alla salvezza attraverso la fede. Il pensiero logico (Hegel) si occupa dell’essenza e cerca una verità oggettiva, all’analisi esistenziale occorre invece definire la verità soggettiva volta all’interiorità del singolo, che rappresenta la coscienza di un determinato individuo in una situazione data. Ciascuno di noi ha rapporti reali solo con individui singoli e specifici, non con l’umanità e dunque in questa dimensione bisogna muoversi per cercare risposte vere e non astratte. La possibilità (opposta al necessario, logico, scientifico) è la categoria (astratta) dell’esistenza che accompagna il singolo, in un certo senso la più pesante. Solo da essa scaturisce la libertà, che però non è mai condizione serena e rassicurante. L’uomo ha esperienza della libertà quando si trova di fronte a una scelta. Ad essa è connesso il rischio e per questo ad essa si accompagnano angoscia e disperazione. Come modo di essere del singolo e della sua esistenza, la libertà è la minaccia del nulla: nel possibile tutto è possibile. L’aut aut che governa l’esistenza dell’uomo è libertà ma contemporaneamente minaccia costante, a differenza dell’et-et Hegeliano che conduceva alla sintesi pacificatrice. La possibilità si configura solo nel regno della Libertà e dell’esistenza e non del Necessario o della Scienza (Hegel, Positivismo). La disperazione, prima condizione esistenziale, è la categoria che si riferisce al rapporto dell’uomo con se stesso: l’uomo, essere finito, chiede a sé stesso di raggiungere l’infinito, scontrandosi così con la finitudine del suo essere. Questo fallimento porta l’uomo a una situazione di disperazione. La disperazione nasce dal peccato originale, colpa incancellabile che presiede nella finitezza del singolo. Può essere: incosciente e mascherata dalla continua ricerca dei piaceri della vita che portano l’uomo a pensare di essere felice; cosciente: può cioè condurre a Dio, l’unico infinito a cui l’uomo può aspirare, o, all’opposto, portare al suo rifiuto (disperazione demoniaca dell’ateo).

Solo il primo caso è la porta della salvezza. È definita da Kierkegaard come

“malattia mortale”, perché vive la morte dell’IO come negazione del tentativo umano di rendersi autosufficiente (diventare infinito nel finito) o di evadere da sé

(impossibile perché è finito, è corpo). Unica terapia efficace per questa malattia di tutti gli uomini è la fede, dove l’individuo riconosce la sua dipendenza da colui che può garantire la sua realizzazione (perché è l’essere cui tutto è possibile) e non si illude di essere autosufficiente come uomo. L’angoscia, seconda condizione esistenziale, è generata dalla “vertigine” della libertà, dal timore del peccato e dalle infinite possibilità negative che incombono sulla vita e sulla personalità dell’uomo. Si prova quando l’uomo entra in rapporto con il mondo ed è legata a ciò che non è ma può essere. È diversa dalla paura che si prova di fronte ad una specifica situazione o persona determinata in quanto questa può essere superata. L’angoscia è il puro sentimento del possibile, cioè del futuro, il senso di ciò che può accadere, il forse che non si conosce e che trascina l’uomo alla sua finitudine e alla sua umanità. È la realtà della libertà come possibilità per la possibilità, ed è esperienza esclusivamente

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umana, non del genere animale, che invece è privo di spirito. Nel possibile tutto è possibile, anche il nulla. Disperazione e angoscia sono dimensioni esistenziali inevitabili: subire l’insensatezza della vita e la perdizione permette di vedere la strada per la riconciliazione con Dio e per la redenzione; e quando si sente che la vita e il mondo generano soltanto noia, in quanto nulla di ciò che accade o esiste ha senso al di fuori della fede, si è pronti per la chiamata di Dio. Con la noia inizia il cammino verso Dio. L’uomo attraverso la scelta può quindi vincere queste condizioni di disperazione e angoscia. L’individuo non è quel che è ma ciò che sceglie di essere (quel che diventa), per cui egli si prospetta come tale solo nella scelta. È il rivelarsi del Singolo a sé e al mondo. Anche non scegliere è una scelta, ma in tal caso l’uomo rinuncia a farsi valere come io e rinuncia alla salvezza. La salvezza scaturisce dalla fede: l’uomo deve abbandonarsi a Dio, ottenendo così l’eternità. La fede offre salvezza poiché non deriva da conoscenze e dimostrazioni, ma è il frutto di un salto esistenziale e logico. Nessuna dimostrazione e nessun sistema filosofico possono sperare di comprendere e spiegare la storia del Cristianesimo. I tre stadi dell’esistenza L’esistenza umana è un cammino, che non riguarda la conoscenza ma solo la salvezza del Singolo. Distinguiamo tre cammini:

Stadio estetico, non ha un tempo, non c’è scelta, è vita inautentica (perché non sceglie mai.) Nella vita estetica dominano la ricerca del piacere, della novità, del desiderio, dell’ebbrezza, dal rifiuto di indirizzare la propria esistenza versi finalità che vadano oltre il godimento dei piaceri. L’esteta rifiuta di scegliere, si limita a dilettarsi con ciò che di volta in volta appare interessante; egli non solo si circonda di oggetti belli, ma da essi è dominato. L’esteta è il seduttore, la cui vita risulta essere amorale, priva di senso, volta alla ricerca dell’emozione. Kierkegaard si serve della figura del Don Giovanni: seduttore crudele e affascinante, che accende la passione delle donne senza desiderarle veramente. Don Giovanni è per il filosofo un emblema della modernità, della ragione sradicata dell’esistenza; il suo destino è tragico: egli evita ogni presa di coscienza, si rifugia nella non scelta e nell’indifferenza, ma a un certo punto diventa preda dei suoi stati d’animo. Sente che le infinite possibilità sono in realtà angoscianti, perché senza scelte le possibilità non si concretizzano in realtà, e quindi l’infinitamente possibile risulta uguale all’impossibile. L’individuo che vive esteticamente non può essere autenticamente sé stesso: la sua sarà una vita inautentica, dominata dalla noia, condizione esistenziale derivante dall’insufficienza della vita stessa e indispensabile per il cammino verso la salvezza. Dal confronto con sé stesso, l’uomo prende consapevolezza della propria insufficienza e impotenza per il peccato commesso: subentra così la disperazione, che interrompe la stasi della non scelta e apre lo spirito a volere, decidere, scegliere.

Stadio etico

Nel momento in cui l’individuo sceglie di vivere e realizzare sé stesso, si ispira all’ideale etico: assume responsabilità, progetta, realizza il suo ruolo sociale, si

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impegna con un’altra persona nel matrimonio e nella famiglia. Ma il passaggio dalla vita estetica a quella etica non avviene per maturazione o per evoluzione: è invece un cambiamento brusco, frutto di una scelta che viene compiuta con un salto in una dimensione completamente diversa dalla precedente. È un salto che scaturisce dalla disperazione di scoprire il nulla in sé stessi e di riconoscerlo come male, mentre prima dominava l’indifferenza che non permetteva la distinzione tra bene e male. Invece di illudersi di vivere bene, rinunciando a qualsiasi impegno, l’individuo si mette in gioco: sceglie di scegliere, quindi sceglie sé stesso e diventa quello che è.

Ma nemmeno la scelte del bene mette l’individuo al riparo dal peccato. La persona etica tende ad affidarsi alle norme della moralità comune e vivere secondo modelli generali, ovvero si conforma all’universale, abbandonando la spontaneità in favore di convenzioni. La sua moralità diventa allora moralismo: applica leggi e norme perché “deve”, come insegna l’imperativo categorico di Kant. Ma questo non è bene: il dovere può derivare dalla scelta, ma se la precede ne snatura il senso autentico. Mentre l’esteta nega sé stesso perché non sa di sé stesso e non sa di possedersi, l’etico nega la sua esistenza singolare all’interno dell’universale. Il moralismo alimenta la presunzione di sentirsi un giusto che ha guadagnato la salvezza di Dio, e questo è il più terribile dei peccati. Poiché il peccato è frutto della libera scelta dell’uomo, è possibile redimersi tornando a Dio con umiltà. Invece il peccato di chi sente giusto non è rimediabile, perché egli non comprende di avere bisogno della grazia di Dio e pensa di trovare in sé il fondamento della propria salvezza. L’individuo si macchia del peccato moralistico, dimenticando Dio come persona e sostituendolo con il “divino”, concetto con cui intende la fonte di norme e precetti.

Stadio religioso è vita autentica

Da qui la necessità di abbandonare anche l’ideale etico, per abbracciare l’ideale religioso. Per farlo occorre un altro salto, ancora più incomprensibile alla ragione perché comporta il superamento di ciò che è consueto e razionale. Si entra infatti in una dimensione assolutamente sconcertante per la ragione. Non ci sono passaggi logici o trasformazioni graduali: è la scelta individuale e solitaria di avvicinarsi a Dio come persona abbracciando la fede. L’individuo sceglie di ritrovare sé stesso nella sua singolarità, rifiutando l’astrazione e l’universalità che lo accomunano agli altri ma che gli fanno perdere sé stesso. La fede porta l’uomo di fronte a Dio, come persona, creatore, fonte di amore, e lo allontana dal divino che detta regole. È la scelta coraggiosa di affrontare verità che, dal punto di vista della ragione appaiono senza senso: Dio che in Gesù si fa uomo come noi e viene torturato e ucciso; Dio che distrugge la vita di Giobbe, uomo giusto, per una scommessa con Satana. La salvezza scaturisce dalla dedizione totale e incondizionata a Dio , dalla fede che è fedeltà a Dio. Follia, assurdità, scandalo e paradosso sono le categorie della fede cristiana. Già San Paolo aveva definito il cristianesimo come scandalo; Kierkegaard riprende quest’interpretazione di fronte all’evento di Dio che si fa uomo. L’incarnazione di Dio nell’uomo Gesù (“paradosso assoluto” del cristianesimo) è per la ragione uno

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scandalo: implica l’eternità che si fa tempo, l’irruzione dell’eternità nel tempo. La fede è un paradosso, poiché non è né logica né razionale, ma nasce da una contraddizione. La fede non è consolante, ma getta l’individuo nello sconforto in quanto pone l’individuo in assoluta solitudine di fronte a Dio. La vicenda di Abramo è esemplare: in spregio a qualunque morale umana, Dio gli chiede in sacrificio il figlio Isacco. In osservanza dell’etica Abramo dovrebbe rifiutare, ma poiché ha fede esegue l’ordine divino. All’ultimo istante Dio impedisce la morte di Isacco e premia Abramo. Ciò non toglie che la scelta di Abramo sia stata del tutto illogica e immorale: Dio getta Abramo nella disperazione della solitudine, della scelta incompresa e incomprensibile. Questo accade agli uomini di Dio: sono consumati dal timore di sbagliare e dal tremore per la punizione. La fede è salvezza:

1. È scelta dell’assoluto, della trascendenza, non c’è panteismo o teofania, Dio è irriducibile all’uomo;

2. Scaturisce da una ignoranza socratica: so di non sapere su Dio ma lo scelgo per la salvezza della mia esistenza. La religione NON porta alla razionalità della filosofia (Hegel) ma è traguardo paradossale, privo di logica;

3. È fulmineo innesto del divino nell’uomo, dell’eterno nel tempo, incontro paradossale tra la linea verticale della trascendenza e la linea orizzontale dell’immanenza;

4. È salto, si compie nel timore e tremore, nel rischio e nell’incertezza;

5. È sospensione dell’etica, paradosso, si pone al di sopra dell’etica (Abramo);

6. Richiede il silenzio, l’isolamento del Singolo posto davanti a Dio, non è eticità mondana e storica (Hegel);

7. È salvezza solo possibile, non garantita;

8. Sostituisce alla disperazione la speranza e la fiducia in Dio;

9. L’instabilità dell’esistenza (nel possibile tutto è possibile) fa appello all’unico principio stabile, Dio, unico essere a cui tutto è possibile;

10. L’unica scelta che vince, anche se non elimina del tutto, l’angoscia e la disperazione;

11. È una scelta personale, avviene nell’istante non nella storia; 12. Non si può cogliere con la ragione né con la logica;

13. La fede conclude la dialettica dell’aut…aut: qui non c’è conciliazione o sintesi razionale (et…et, vero è l’intero in Hegel) ma solo rottura rispetto alle altre esistenze. E’ dialettica qualitativa, della scelta del Singolo, non quantitativa, della totalità da raggiungere.

Confronto con Hegel e Schopenhauer Confronto con Hegel: K. rifiuta qualunque percorso di conoscenza e di spiegazione razionale, considerati aspetti di vita inautentica. La filosofia studia l’esistenza non l’essenza. Ruolo dialettica: non concilia come in Hegel, ma costringe alla scelta, portando con sé angoscia e disperazione. Confronto con Schopenhauer: S. ammette un principio irrazionale (la Volontà) e pertanto muove anch’egli dal rifiuto del panlogismo Hegeliano ma aspira ancora ad una salvezza possibile solo attraverso la conoscenza metafisica (il nirvana).

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K. la salvezza sta nella fede. Kierkegaard non lascia invece posto ad alcuna conoscenza, obiettivo è solo la salvezza. Il sapere non salva.

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