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LICEO ARTISTICO

IDONEITA' ALLA V

STORIA DELL'ARTE

Quattrocento

La Prospettiva e la Storia della Prospettiva

Arte Barocca / L’architettura Barocca

Gian Lorenzo Bernini

Francesco Borromini

El Greco

Rembrandt

Pieter Paul Rubens

Diego Velázquez

Arte Di Corte In Europa Tra 600 E 700 / Il Manierismo / Palladio

Caravaggio

Luigi Vanvitelli

Louis Le Vau

Pittura Di Genere / Vedute Capricci Paesaggi

Pittura Di Canaletto

Impressionismo e la nascita della fotografia

Le Figure Femminili Nelle Opere Di Renoir

Arte Rinascimentale

La Porzione Aurea in Architettura

La Pittura Fiamminga

Venezia e la Pittura Rinascimentale del ‘500

Il Manierismo

Barocco e Controriforma

Neoclassicismo

Antonio Canova

Johann Joachin Winckelmann

Fussli e la Pittura Visionaria

Il Romanticismo

Il Realismo

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QUATTROCENTO

Nel Quattrocento l'arte in Italia era molto differenziata nelle diverse aree geografiche. Fino alla prima metà del XV secolo permase la cultura tardogotica che presentava aspetti diversi nelle regioni del nord e del sud, mentre a Firenze, a partire dal secondo decennio del secolo si attuò la trasformazione del Rinascimento. Qui, infatti, si concentrarono gli studi e le personalità che hanno prodotto la nuova cultura umanistica.

Giovanni dal Ponte Madonna col Bambino e angeli. 1425 ca. Cambridge, Fitzwilliam Museum

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Già prima della metà del XV secolo avvenne la diffusione del linguaggio rinascimentale in Italia centrale. Le nuove forme rinascimentali che nacquero a Firenze si diffusero dapprima in Toscana e a Siena (città finora molto legata alla tradizione gotica) poi giunsero in Lazio, in Umbria e nelle Marche. In Italia Settentrionale il Rinascimento giunse con un po' di ritardo, perché le regioni del nord, fino alla metà del '400, restarono legate alle correnti del gotico internazionale, o elaborarono nuove trasformazioni nel gusto cosiddetto "tardogotico", parallelo, nei tempi, al primo Rinascimento fiorentino.

Masaccio

Madonna col Bambino e angeli 1426. Londra, National Gallery

Il nuovo stile rinascimentale trovò invece la prima accoglienza nei centri di cultura come Roma, Perugia, Urbino, che dapprima raccolsero, poi elaborarono e svilupparono lo stile rinascimentale per diffondere a loro volta nuove forme del Rinascimento. Questi centri, nella seconda metà del '400 assunsero nell'arte e nella cultura un'importanza sempre maggiore.

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Nella seconda metà del secolo si assiste alla diffusione e al trapianto dello stile rinascimentale in tutte le altre regioni, fiorirono rapidamente nuovi importanti centri d'arte e di cultura, grazie alla presenza di artisti di altissimo livello e dalla promozione culturale dovuta al mecenatismo.

Firenze agli inizi del '400

Nel decennio tra il 1420 e il 1430 alcuni artisti fiorentini posero le basi di un nuovo modo di espressione. Sono:

I tre si conoscevano, si frequentavano, collaboravano nel lavoro ed è documentata l'amicizia tra Donatello e Brunelleschi, che sono andati insieme a Roma per studiare i monumenti dell'antichità. Ma è testimoniato anche il sodalizio tra Donatello e Masaccio: Donatello aiutò il giovane amico facendo da testimone ai pagamenti che il pittore ricevette per i suoi dipinti. A questi si aggiunse Michelozzo, con cui Donatello divise la bottega fiorentina e altri artisti o collaboratori. Con l'opera di questi artisti a Firenze avvenne una svolta artistica decisiva, che portò conseguenze importanti, si sviluppò un nuovo stile: il Rinascimento. Tutti e tre questi maestri hanno avuto una formazione tardo-gotica, ma ognuno di loro, in parte autonomamente, in parte scambiandosi idee,

Un

architetto, Filippo Brunelleschi;

uno scultore un po' più giovane di lui, Donatello,

e un

pittore, Masaccio, più giovane dei tre e scomparso

improvvisamente in circostanze

misteriose, all'età di 27 anni.

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stabilì con la propria opera i principi essenziali di una nuova forma di rappresentazione artistica.

Perché proprio a Firenze?

Francesco di Lorenzo Rosselli.

Pianta della Catena. 1471-72. Firenze, Biblioteca Riccardiana.

La città in questo momento godeva di condizioni favorevoli al suo sviluppo civile:

- non era retta da una signoria come altri centri del nord, ma da libere istituzioni repubblicane (città-stato);

- si era arricchita di fiorenti attività industriali e commerciali; nacquero le prime banche (es.: i Medici sono una famiglia di banchieri)

- i mercanti rappresentavano la nuova classe dirigente, uomini potenti che promuovevano la cultura e le arti (mecenati).

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Pontormo.

Ritratto di Cosimo de' Medici, il Vecchio. 1518-20. Firenze, Uffizi

Le famiglie fiorentine più potenti in questo momento e nuovi committenti degli artisti erano:

- Pazzi

- Rucellai

- Medici, specialmente Cosimo I (morto nel 1464), grande protettore di artisti e intellettuali.

Il Rinascimento si formò quindi per una serie di coincidenze e inizialmente comparve come fenomeno isolato, una peculiarità fiorentina. Ma, dapprima con lo spostamento degli stessi protagonisti e delle loro opere, poi con la conseguente influenza su altri artisti, si diffuse rapidamente avviando un gusto e una cultura di portata enorme, che investì non solo l'Italia, ma tutta l'Europa.

L'architettura del '400

Anonimo, Città ideale.

1470-1475 circa. Urbino, Galleria Nazionale delle Marche.

L'architettura, nella prima parte del '400 si fonda su alcune componenti fondamentali:

- La prospettiva che porta alla creazione di spazi compiuti e razionali. Lo spazio viene concepito a misura d'uomo in antitesi agli spazi irrazionali e illimitati del gusto gotico.

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- L’ispirazione all'antico che stimola studi e rilievi condotti sui reperti. Vengono ripresi gli ordini classici e si recuperano le leggi armoniche che stanno alla base della composizione architettonica.

- Il progetto, cioè l'elaborazione teorica che sta alla base dell'ideazione. Gli artisti elaborano una serie di disegni con i quali stabiliscono in partenza come sarà l'opera compiuta, con forme, dimensioni e caratteristiche.

Il progetto comporta due fasi:

- Lo studio, l'analisi razionale di tutte le parti e di tutti i problemi della costruzione che vengono affrontati e risolti in partenza, a livello di progettazione.

- Il disegno finale: dagli studi precedenti si ricava una sintesi e si arriva al progetto completo in ogni sua parte da cui si trae il modello che viene realizzato in scala.

ed è seguito dalla realizzazione pratica dell'opera.

La distinzione tra due momenti del processo operativo: ideazione teorica e realizzazione pratica e conseguente distinzione e ripartizione di compiti tra la fase ideativa e la fase esecutiva.

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Domenico Veneziano.

Pala di santa Lucia de' Magnoli. 1445 ca. Firenze, Uffizi.

A partire dal secolo XV nel Rinascimento italiano la pittura ha avuto un grandioso sviluppo ed ha rappresentato in questa epoca l'arte per eccellenza (come la scultura per l'arte greca) perché più consona ai nuovi ideali estetici. Anche in ordine di tempo è la pittura che opera per prima e integralmente, con Masaccio, la trasformazione del linguaggio artistico e si manifesta con più rapidità rispetto alle altre arti. Altrettanto si può dire anche per la diffusione e trasmissione delle nuove "forme toscane" nelle altre regioni d'Italia.

Gli elementi espressivi che caratterizzano meglio la pittura del '400 sono:

- Il disegno, inteso come studio delle forme e della realtà, che insieme al chiaroscuro deve suggerire il rilievo e il movimento dei corpi

- La prospettiva utile per creare in ogni scena uno spazio chiaro e definito

- Lo studio anatomico, per ottenere proporzioni più armoniche e una maggiore naturalezza di atteggiamenti, gesti e movimenti.

- La luce per accentuare le forme, creare contrasti con l'ombra o per unificare figure e ambienti.

- Il colore per esprimere la varietà e la ricchezza della natura.

La pittura inoltre rappresenta un importante collegamento con le altre arti. Attraverso il risalto plastico del disegno e del chiaroscuro e l'uso della luce stabilisce una relazione diretta con la scultura. Mentre attraverso lo studio della prospettiva e l'uso del disegno nei progetti stabilisce una relazione diretta con l'architettura. Infatti durante il XV secolo si manifesta l'affermarsi di numerosi pittori-architetti, mentre ne secolo precedente e nella cultura tardo-gotica esistevano soprattutto scultori-architetti.

Rispetto alle altre arti, inoltre, per mancanza di modelli diretti, la pittura quattrocentesca è meno condizionata dall'ideale estetico classico, poiché la scoperta della pittura romana iniziò soltanto con gli scavi di Pompei, nel XVIII secolo. Unica testimonianza della pittura antica per gli artisti rinascimentali erano i fantasiosi motivi decorativi del Quarto stile, le "Grottesche" di cui si farà largo uso, ma solo a partire dalla fine del XV secolo. Riguardo allo stile, realismo e spirito scientifico sono gli aspetti che contraddistinguono maggiormente la pittura quattrocentesca rispetto a quella del XIV secolo. La rappresentazione pittorica del '400 punta infatti sulla forma realistica, non più fondata soltanto sul concetto di "mimesi" classica o sull'osservazione diretta, ma anche sulla ricerca e su una verifica razionale per avere pieno dominio sulla realtà. Lo spirito scientifico si coglie nella ricerca e attuazione di nuove soluzioni pittoriche ma anche nella sperimentazione di nuove tecniche operative come ad esempio

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nell'affresco e nella pittura su tavola in cui a partire dalla metà del secolo si introduce la tecnica a olio. Accanto agli affreschi, nel '400 sono molto diffusi i dipinti su tavola, da quelli di piccole dimensioni, solitamente a destinazione privata, alle grandi pale d'altare destinate alle chiese. In largo uso per tutto il '400 sono anche i polittici: grandi pale d'altare a più scomparti e in ordini sovrapposti come nel secolo precedente. Nei polittici quattrocenteschi gli elementi delle cornici però sono più lineari, perdono la funzione puramente decorativa ed acquistano quella di inquadramento architettonico e spesso di primo piano prospettico. Questo tipo di cornici lega armonicamente i singoli scomparti in un complesso unitario. Per questo lo smembramento e dispersione dei pezzi componenti i polittici rinascimentali è anche più grave della divisione e dispersione di quelli trecenteschi.

La scultura del '400

Donatello.

David. 1440 ca. Bronzo. Firenze, Museo del Bargello.

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Nel XV secolo la scultura si sviluppa, riconquista una completa autonomia rispetto alle convenzioni tardogotiche e acquisisce piena libertà di espressione.

La rivalutazione e lo studio del mondo classico favorisce la formulazione di un ideale estetico simile a quello greco e romano, incentrato sull'uomo e la natura e comporta numerosi riferimenti all'antichità. Gli studi umanistici influenzano fortemente l'arte e spesso, accanto ai testi sacri, la letteratura latina e i miti antichi rappresentano le principali fonti a cui si attinge per i temi delle rappresentazioni.

Vengono riproposti generi classici come:

- la statua

- il gruppo

- il busto-ritratto

- il nudo.

Il rapporto con l'antico appare più evidente e diretto nella scultura minore, ma l'assimilazione dei motivi classici avviene con grande libertà d'interpretazione. Infatti i moduli, le regole e le leggi proporzionali classiche, basilari nell'arte antica, non vengono quasi mai rispettate in maniera rigorosa dagli artisti quattrocenteschi. Alla luce di nuove conoscenze e di una visione "moderna", gli scultori del '400 si soffermano maggiormente sugli caratteri più esteriori dei modelli antichi. Ad esempio, nella rappresentazione della figura umana, il canone policleteo viene ripreso soltanto per dare alla figura un aspetto e un atteggiamento più naturale.

Al rispetto delle regole proporzionali indicate da Policleto, finalizzate alla rappresentazione di una forma ideale e perfetta, si preferisce un'osservazione diretta della realtà. Inoltre è importante anche la derivazione dall'esperienza del gotico, rispetto al quale lo stile quattrocentesco rappresenta un'evoluzione. Un esempio è offerto dalle rappresentazioni di personaggi in posizione eretta: la postura in cui il corpo si appoggia su una gamba flettendo l'altra non è una innovazione radicale, ma uno sviluppo e razionalizzazione dello stereotipo dello "hanchement" gotico. Emblematico è l'esempio di Donatello, in cui si nota l'evoluzione stilistica dalla maniera ancora gotica alla visione rinascimentale confrontando opere giovanili come il David di marmo con quelle più mature come i santi dell'Altare di Padova.

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Nella produzione scultorea quattrocentesca i legami più forti con la classicità si trovano soprattutto nella scultura minore e specialmente in due tipi di produzione: l'ornato architettonico e il bronzetto. L'ornato plastico-architettonico nel '400 è caratterizzato dalla ripresa di motivi iconografici e decorazioni antiche che vengono spesso distaccati dai valori simbolici originali per essere denotati secondo nuovi significati. Negli esempi minori o in opere a destinazione privata i "motivi alla greca" possono essere scelti senza un particolare criterio o funzione simbolica, ma semplicemente per una ragione estetica. Nella produzione dei bronzetti si risponde soprattutto alle esigenze di una moda, di un gusto appartenente alle corti e all'alta borghesia, e spesso vengono eseguite delle copie o delle imitazioni degli esemplari classici

La scultura monumentale

Donatello

Monumento equestre al Gattamelata. 1447-53. Bronzo. Padova, Basilica di Sant'Antonio

Rispetto alla scultura minore, nella scultura monumentale del '400 l'ispirazione classica si fa meno evidente, prevale l'invenzione la creazione originale, similmente a quanto avviene della pittura. Il maggiore protagonista della scultura quattrocentesca, Donatello, nonostante gli studi condotti sulle opere antiche, per molti aspetti si può considerare anticlassico, poiché spesso sovverte

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le regole classiche, interpretandole in modo molto personale. Anche i risultati qualitativi sono maggiori rispetto a quelli ottenuti nella scultura minore.

Caratteri fondamentali della scultura quattrocentesca sono:

- lo studio dell'anatomia e del movimento nella figura umana;

- l'osservazione diretta del vero che si traduce in una gamma svariatissima di interpretazioni che vanno da un naturalismo ancora tardo-gotico al realismo anche violento e brutale.

- L'astrazione concettuale della forma intesa come entità geometrica in rapporto con lo spazio e la luce.

- La costruzione delle scene in uno spazio in base ad un inquadramento prospettico-lineare.

-

Lo scultore del '400

Lo scultore rinascimentale doveva avere una lunga preparazione al suo mestiere. La formazione era basata sulla conoscenza approfondita e specifica di diverse tecniche e poteva comprendere varie arti perché doveva portare ad una professionalità completa. I giovani che volevano intraprendere la carriera artistica si formavano nella bottega di un orafo, perché l'oreficeria insegnava le nozioni prime e fondamentali delle diverse arti, sia dal punto di vista formale con il disegno che diventa basilare per tutte le arti, sia dal punto di vista tecnico, dovendo operare con materiali e procedure diverse (la progettazione, la conoscenza dei materiali, le tecniche di fusione, modellazione, scultura, incisione, cesellatura, ecc.) Gli orafi nel medio evo erano maestri che rappresentavano l'eccellenza ed erano ancora i più apprezzati all'inizio del XV secolo.

Inoltre va considerato che era necessario conoscere la difficile tecnica della fusione in bronzo che divenne sempre più importante e richiesta durante il XV secolo.

La consapevolezza della nuova era

« Io solea maravigliarmi insieme et dolermi che tante optime et divine arti et scientie quali per loro opere et per le historie veggiamo chopiose erano in que virtuosissimi passati antiqui, ora così siano mandiate et quasi in tucto perdute; pictori, scuiptori, architecti, musici, geometri, rethorici, auguri et simili nobilissimi et meravigliosi intellecti oggi si truovano rarissimi et pocho da lodarli. Onde stimai fusse quanto da molti questo così essere udiva, che già la Natura, maestra delle cose, fatta anticha et straccha, più non producea chome ne giganti così ne ingegni quali in que suoi quasi giovinili et più gloriosi tempi

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produsse amplis-simi et maravigliosi. Ma poi che io dal lungo exilio in quale siamo noi Alberti invecchiati, qui fui in questa nostra sopra l'altre omatissima patria riducto, chompresi in molti ma prima in tè, Filippo et in quel nostro amicissimo Donato scuiptore et in quelli altri Nencio et Luca et Masaccio, essere a ogni lodata cosa ingegnio da non postporii acquai si sia stato antiche et famoso in queste arti. Pertanto m'avidi in nostra industria et diligentia non meno che in beneficio della natura et de tempi, stare il potere acquistarsi ogni laude di qual si sia virtù. Confessoti se a quelli antiqui, avendo quale aveano chopia da chi inparare e imitarli, meno era difficile salire in cognitione di quelle supreme arti quali oggi annoi sono fatichosissime ma quinci tanto più el nostro nome più debba essere maggiore se noi sanza preceptori, sanza exemplo alchuno, truoviamo arti et scientie non udite et mai vedute».

La consapevolezza della nuova era e del cambiamento culturale che si stava vivendo viene espresso con entusiasmo e commozione nella dedica nel trattato Della pittura che nel 1436 Leon Battista Alberti rivolge a Filippo Brunelleschi. Quando, nel 1429 Alberti giunge per la prima volta a Firenze, la magnifica Cupola di Santa Maria del Fiore era avanti nella costruzione e al suo ritorno, nello stesso 1436, era già compiuta. Nel 1429 a Firenze si potevano ammirare dli affreschi che Masaccio aveva appena terminato nella Cappella Brancacci, Ghiberti aveva collocato la sua prima Porta del Battistero e Donatello, collocata la statua di Geremia nel Campanile, stava lavorando al profeta Abacuc. Si trattava davvero di «arti e scientie non udite et mai vedute» e il sensibile e coltissimo Alberti riconosce il merito ai grandi inventori del Rinascimento: l'architetto Brunelleschi, gli scultori Ghiberti, Donatello e Luca Della Robbia, e il pittore Masaccio, che con le loro opere superano per qualità quelle dei maestri dell'Antichità.

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LA PROSPETTIVA

STORIA DELLA PROSPETTIVA

IL SENSO DELLA PROFONDITÀ

La prospettiva

Il vocabolo si riferisce generalmente alla rappresentazione di paesaggi, ma può indicare, più in particolare, una composizione pittorica in cui appaiono fughe prospettiche e inganni ottico-illusionistici, le une e gli altri ottenuti con la presenza di finte architetture, effetti di ombre e di colore. Scopo della prospettiva in pittura è dare tridimensionalità a un’opera, rendendola più vicina alla realtà. Una definizione più precisa sarebbe la speculazione teorica che ha per oggetto la rappresentazione su di una superficie piana della tridimensionalità dello spazio e dei corpi che in esso si trovano, nonché delle rispettive proporzioni e posizioni.

Storia della prospettiva

Nelle culture preistoriche e pregreche manca del tutto una concezione prospettica, che si afferma solo nel mondo greco.

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Lo studio degli effetti e della tecnica prospettica venne intrapreso dai Greci prima in modo empirico (e ne sono prova gli scorci sempre più sapienti rilevabili nella produzione vascolare dal V sec. a.C. in avanti), poi con maggiore consapevolezza e con un preciso richiamo a regole geometriche (come fece Democrito, che giunse probabilmente a definire un metodo molto simile alla proiezione centrale). Tali risultati furono applicati sia nella pittura di cavalletto (ove si distinse, secondo la tradizione, Apollodoro di Atene detto lo Schiagrafo) sia nella grande decorazione (riecheggiata nel mosaico di Alessandro alla battaglia di Isso di Pompei, ora al Museo archeologico nazionale di Napoli) e nella scenografia teatrale. Perduti gli originali, si può trovare un riflesso delle ricerche greche nella decorazione parietale romana del primo e secondo stile, a Pompei (villa dei Misteri), a Boscoreale, a Roma (stanza delle Maschere).

Più tardi, la tendenza all'illusionismo divenne in Roma prevalente, e si fece sempre più ricorso a metodi più empirici e approssimativi, anche se di effetto; con l'affermarsi del terzo e quarto stile inizia il processo di abbandono della tecnica prospettica propriamente detta, che sarà riscoperta nel Quattrocento fiorentino. In epoca tardoantica ha luogo, per il doppio impulso del misticismo cristiano e della condanna neoplatonica dell'illusionismo, l'abbandono della rappresentazione di uno spazio prospettico; nonostante significative eccezioni, come i mosaici della Rotonda di San Giorgio a Salonicco, rivelatori della persistenza, anche in epoca tarda, di una rigorosa scienza prospettica, si adotta in arte urativa il metodo della 'dissociazione prospettica', per cui ogni oggetto può essere visto prospetticamente in una sua casella spaziale, ma manca del tutto un criterio unificatore. Questa tendenza si accentua con l'affermarsi dell'arte bizantina, costruita con una mentalità trascendente e aspaziale: gli oggetti sono rappresentati ortogonalmente, o in prospettiva inversa (in cui le direttrici in profondità divergono verso il fondo) o in prospettiva cavaliera (in cui gli oggetti vengono visti dall'alto, con un forte appiattimento della profondità); paesaggi e architetture sono raramente rappresentati, e quando sono presenti, come nei mosaici siciliani del XII sec., hanno una funzione ritmica piuttosto che spaziale.

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La situazione cambia, nel mondo occidentale, verso la fine del XIII sec., in corrispondenza con il rinnovarsi di un interesse per la corporeità degli oggetti,

come in Cimabue e Pietro Cavallini, ponendo le premesse per il primo tentativo di rivalutazione della prospettiva, che ha luogo con Giotto. Negli affreschi di Giotto ad Assisi, e ancor più chiaramente nella cappella degli Scrovegni a Padova e nella cappella dei Bardi a Firenze, è evidente lo sforzo di dare una plausibilità spaziale alla rappresentazione pittorica, giovandosi forse anche di esempi classici: tuttavia, si tratta di un tentativo empirico, che dà buoni risultati nei particolari (fastigi dei templi, scorci, e soprattutto le due finte nicchie della cappella degli Scrovegni) ma non basta a definire un'unità spaziale: come in talune opere romane tarde, Giotto giunge a una prospettiva 'a spina di pesce', in cui diversi punti di fuga sono allineati lungo un asse orizzontale.

La definitiva riscoperta della prospettiva centrale ha luogo a Firenze all'inizio del Quattrocento, soprattutto a opera del Brunelleschi, autore di due tavolette dimostrative (rappresentanti il Battistero di Firenze e Palazzo Vecchio),

Giotto, affresco Basilica Superiore di Assisi “Francesco rinunzia ai beni del padre”

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costruite secondo precise regole geometriche, e tenendo conto del punto di fuga e del punto di distanza. Mancando però notizie precise sugli esperimenti brunelleschiani (su cui riferisce il Manetti), la prima trattazione sistematica della materia a noi nota è quella dell'Alberti, che nel suo trattato Della pittura (1436) dà le regole della 'costruzione legittima' (cioè della proiezione centrale con

punto di distanza).

Andrea Mantegna: la Cappella Ovetari, Padova

In ogni caso, la prospettiva era già allora ben nota agli artisti fiorentini, da Donatello (base del San Giorgio, 1416) a Masaccio (Trinità in Santa Maria Novella, 1428 circa), a Paolo Uccello, le cui ricerche peraltro si indirizzarono in un senso più astrattamente scientifico, non senza ritorni alla 'perspectiva naturalis' medievale (Storie di Noè nel Chiostro Verde di Santa Maria Novella). Il motivo della fortuna della concezione prospettica in ambiente fiorentino va ricercato nel fatto che essa consentiva una riproduzione del reale nello stesso tempo aderente alla visione diretta e regolarizzata in uno schema geometrico, e soddisfaceva quindi le esigenze razionalistiche dell'ambiente: ciò è evidente soprattutto in Piero della Francesca, autore anche di un trattato, De prospectiva pingendi (1480), che è lo specchio più fedele della mentalità del tempo su questo argomento. Molto differente è invece l'uso della prospettiva che si deve al Mantegna, che abbassando notevolmente, nella cappella Ovetari a Padova, il punto di fuga fino a porlo all'altezza del visitatore reale, pone le basi per un uso non razionalistico ma dichiaratamente illusionistico della prospettiva, quale sarà realizzato dallo stesso Mantegna nella Camera degli Sposi a Mantova (1472-l474). Nel Cinquecento, gli studi prospettici prendono una direzione abbastanza

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diversa. Da un lato un pittore- scienziato, Leonardo, giunge dopo approfonditi studi di ottica a chiarire il carattere convenzionale della prospettiva quattrocentesca, e ne crea una variante prospettiva area che tenga conto dell'atmosfera come mezzo attraverso il quale avviene la visione; dall'altro un matematico, il francese Jean Pélerin, approfondisce l'aspetto geometrico della costruzione legittima.

Come risultato, la pittura manieristica si volge a considerare la prospettiva come un semplice mezzo di rappresentazione, senza più attribuirle un significato conoscitivo: e si hanno così i primi tentativi di prospettiva di pure architetture (sala delle Colonne alla Farnesina, a Roma, del Peruzzi) o di sfondamento illusionistico delle pareti (cupola del duomo di Parma, del Correggio). In questo modo si perfezionano le tecniche che sfoceranno, allo scadere del secolo,

nell'opera dei quadraturisti.

Galleria di palazzo Spada, Borromini

Ciò che cambia è l'uso della prospettiva, che diviene un mezzo ausiliare tra i più spettacolari per la grande decorazione, a partire dalla decorazione carraccesca di palazzo Farnese: gran parte dell'effetto fantasiosamente scenografico della decorazione barocca (e vanno ricordate le opere di G. Lanfranco, di Pietro da Cortona, del Gaulli, detto il Baciccia, e soprattutto di padre Andrea Pozzo) va attribuita al sapiente uso dell'inquadratura prospettica, sovente affidata a tecnici specializzati.

Inoltre, e contrariamente a quanto accade nel Rinascimento (in cui l'abside di San Satiro a Milano, del Bramante, e la sistemazione del Campidoglio a Roma, di Michelangelo, costituiscono delle eccezioni, sia pur significative), le regole

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prospettiche vengono utilizzate anche nella sistemazione architettonica, sia per effetti particolari (galleria di palazzo Spada, del Borromini) sia per complesse soluzioni urbanistiche (piazza San Pietro, del Bernini). Queste tendenze si accentuano nel corso del Settecento, sia nella decorazione pittorica (affreschi del Tiepolo e, in altro senso, vedute del Canaletto, costruite con l'ausilio della camera oscura) sia nella scenografia (Bibbiena) e nel campo urbanistico (specie in Francia e Germania).

In epoca moderna, alla prospettiva vengono attribuiti compiti puramente rappresentativi, anche per uso tecnico, mentre, con l'affermarsi dell'impressionismo e la dissoluzione della concezione riproduttiva dell'arte, non vi è che qualche sporadico tentativo (Crocifissione, di Dalí) di trarne effetti particolari o specificamente espressivi.

Il senso della profondità

Come già detto per la cultura rinascimentale molto importante fu lo studio della prospettiva.

Essa si basa su un particolare effetto visivo: l'occhio umano percepisce gli oggetti entro un immaginario cono, con il vertice posto nell'occhio stesso, sicché gli oggetti vicini appaiono molto più grandi, a parità di grandezza reale, di quelli lontani. Inoltre se osserviamo, posti di fronte, due linee parallele esse sembrano

convergere in un

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punto, o fuoco, posto su una linea immaginaria, detta linea di orizzonte; infine se vi sono delle linee ortogonali rispetto alle prime, noi avremo l'impressione che esse diventino sempre più piccole e più ravvicinate: sono i gradienti di tessitura.

Si osservi tutto ciò in questa Annunciazione (del Maestro dell'Annunciazione Gardner) del XV secolo: la Madonna e l'angelo appaiono molto più grandi degli archi e del portale in fondo; le linee bianche viste frontalmente e i muri ad esse paralleli

tendono a convergere in un punto; la decorazione del pavimento fatta di moduli quadrati chiari con altri quadrati inscritti all'interno diviene via via più fitta. Bisogna poi determinare il punto di vista dell'osservatore: quanto all'altezza, esso può prevedere una visione frontale, se la linea di orizzonte è posta più o meno nell'asse mediano dell'opera; dall'alto verso il basso, se tale linea è posta molto in alto rispetto alla base dell'opera; dal basso verso l'alto, infine, se se la linea d'orizzonte è vicina o addirittura al di sotto della base dell'opera.

Inoltre la visione può essere centrale se il fuoco è più o meno al centro della linea d'orizzonte, altrimenti sarà accidentale o angolare.

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Un altro modo di comunicare il senso della profondità fu teorizzato infine da Leonardo da Vinci: la prospettiva aerea. Consiste nel rappresentare gli oggetti lontani con contorni meno nitidi, più sfumati, come velati dall'aria e dall'umidità che essa contiene. Un Esempio di questo modo di procedere si può riscontrare

nella Vergine

Leonardo da Vinci, Vergine delle rocce

delle rocce. Val la pena di ricordare che l'uso della tecnica ad olio (in questo caso su tavola) consentiva di stendere sottilissime velature di colore, che si prestavano benissimo alle esigenze della prospettiva aerea. L'opposizione tra luci ed ombre serve a dare l'impressione che le ure rappresentate abbiano un volume; ciò viene realizzato attraverso la tecnica del chiaroscuro: si mescola il colore-base della ura con le tinte più chiare e con quelle più scure, in modo da dare la sensazione di una luce che colpisce la ura rappresentata. Bisogna poi distinguere tra le ombre proprie della ura e quelle portate, cioè proiettate su altre ure o sui piani circostanti: le seconde servono a suggerire la distanza tra le diverse ure, lo spazio che le circonda. Del resto la contrapposizione tra luce ed ombra ha anche valore simbolico, spesso richiamando l'opposizione tra bene e male: basti pensare all'inizio del Vangelo di S. Giovanni , ma l'elenco dei testi, letterari e non, che utilizzano questa contrapposizione è inesauribile.

Ovviamente in opere che non aspirano a una rappresentazione naturalistica, come nell'arte bizantina medievale, non troveremo un uso di questa risorsa espressiva e le ure ci appariranno piatte, bidimensionali, nelle opere del

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Rinascimento italiano, invece, si fa largo uso di queste tecniche. Leonardo da Vinci, poi, farà largo uso della tecnica dello sfumato, con cui si evitano i contrasti troppo marcati tra luce ed ombra, sostituiti da passaggi molto graduali che addolciscono, offuscandoli, i tratti somatici.

ARTE BAROCCA

Il termine «barocco» ha una genesi incerta: secondo alcuni autori esso deriva dal termine francese «baroque» (in spagnolo «barrueco» e in portoghese «barrôco») che nel Seicento indicava una perla di forma irregolare. In arte con la parola «barocco» si indica uno stile artistico che storicamente coincide con l’arte prodotta dagli inizi del Seicento alla metà del Settecento. Il termine in realtà verrà utilizzato solo dopo la fine di questo periodo, dagli scrittori di età neoclassica, con chiaro intento dispregiativo, per evidenziare i caratteri di irregolarità di questo stile.

In realtà il termine barocco, oltre ad individuare uno stile attuato in un periodo storico preciso, sembra contenere in sé una precisa categoria estetica universale che supera l’applicazione stilistica attuata nel Seicento e Settecento. Esso indica tutto ciò che è

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fuori misura, eccentrico, eccessivo, fantasioso, bizzarro, ampolloso, magniloquente, ma soprattutto che tende a privilegiare l’aspetto esteriore ai contenuti interiori.

Inteso in questo senso, il barocco è quasi una categoria universale dello spirito umano, e non a caso il termine viene spesso usato anche al di fuori del contesto storico al quale si riferisce. Ricorrendo ad una teorizzazione dello storico austriaco Riegl, ogni periodo storico, o fase culturale, si svolge secondo una parabola suddivisa da tre fasi principali: una iniziale di sperimentazione, una intermedia che potremmo definire classica, una finale di decadenza. Se applichiamo questo schema all’arte italiana tra Quattrocento e Seicento, abbiamo che la prima fase corrisponde al momento iniziale del Rinascimento, quando innovatori e sperimentatori da Brunelleschi a Botticelli arrivano a definire i canoni di una nuova sensibilità estetica nonché di un nuovo stile. La seconda fase corrisponde all’attività dei grandi maestri a cavallo di Quattrocento e Cinquecento quali Leonardo, Raffaello e Michelangelo. Con essi il nuovo stile raggiunge la maturità e la perfezione: si raggiunge in pratica la fase «classica» dello stile rinascimentale, cioè di una perfezione assoluta che non sarà più messa in discussione da mode o oscillazioni di gusto. Infine la terza fase, quella di decadenza, coincide con il Manierismo ma soprattutto con il Barocco. «Barocco», quindi, diviene per antonomasia qualsiasi fase di decadenza di uno stile artistico il quale, dopo aver raggiunto la maturità, si deforma in applicazioni virtuosistiche ma fatue e stucchevoli e non di rado ripetitive.

Il giudizio critico nei confronti del barocco ha subito molte oscillazioni. Una rivalutazione in senso positivo è stata tentata solo alla fine dell’Ottocento dallo storico austriaco Wolfflin, ma in realtà un certo giudizio di negatività non è mai venuto meno nei confronti di questo stile, soprattutto perché la nostra cultura occidentale moderna, figlia dell’Illuminismo, nasce proprio dal rifiuto del barocco, ossia della cultura seicentesca in genere.

Un punto vale però la pena rimarcare, prima di continuare il discorso. Le caratteristiche stilistiche che noi attribuiamo al barocco in realtà si ritrovano essenzialmente solo nell’architettura e nelle arti applicate di quel periodo. Le arti figurative del Seicento e Settecento hanno dinamiche ed esiti stilistici che raggrupparle genericamente nella definizione di «barocco» appare improprio. Così come è avvenuto per il romanico e il gotico, e come avverrà in seguito per il liberty e il post-modern, il termine, nato per definire uno stile architettonico, è stato utilizzato in maniera impropria, dal punto di vista stilistico, per individuare tutta l’arte del periodo al quale ci si riferisce. Così come non possiamo definire gotica la pittura di Giotto, solo perché ha operato tra XIII e XIV secolo, così non possiamo definire barocca la pittura di Caravaggio o di Rembrandt, solo perché la loro attività si è svolta nel XVII secolo.

Le arti figurative

Lo stile barocco è stato uno stile prettamente architettonico, e in un certo qual senso anche le arti figurative sono più barocche quanto più sono in rapporto con

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l’architettura o con l’urbanistica. È quanto avviene soprattutto con le arti applicate (arredamenti e complementi di arredo in primis) che con l’architettura hanno un rapporto più diretto. Ma anche pittura e scultura, quando collaborano a creare uno spazio illusionistico e scenografico, acquistano il loro carattere più barocco. In effetti è soprattutto nei grandi affreschi che si ritrova la pittura barocca, mentre la scultura

barocca è in particolare quella dei grandi monumenti urbani.

Il trionfo della Divina Provvidenza di Pietro da Cortona

Nel corso del Seicento e del Settecento la costruzione di chiese e palazzi nobiliari aumenta vistosamente rispetto al passato. E fu soprattutto per questi contesti che avvenne la maggior produzione pittorica, sia ad affresco sia su tela. In particolare lì dove la pittura barocca assume caratteri più originali è nella decorazione delle volte. Il motivo è presto detto: sotto le volte si poteva creare effetti illusionistici di maggiore spettacolarità. Il prototipo di queste volte è quella realizzata nel 1639 da Pietro da Cortona per il salone di Palazzo Barberini a Roma, ma la più nota di queste composizioni è la volta nella Chiesa di Sant’Ignazio realizzata da Andrea Pozzo nel 1694.

Il modello è quello del Soffitto degli Sposi del Mantegna, cioè del «trompe-l’oil», ma portato a livelli di complessità molto più arditi e spettacolari. Possiamo considerare

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Gloria di Sant'Ignazio di Andrea Pozzo

che due sono i modelli per decorare una volta. Quello assunto da Michelangelo per la volta della Sistina, o da Annibale Carracci per la Galleria di Palazzo Farnese, è di realizzare le immagini come quadri tradizionali solo che vengono disposti non in verticale ma in orizzontale con la superficie in giù. Il modello assunto invece dai pittori barocchi è di concepire le immagini come viste dal basso verso l’alto, così da creare l’effetto illusionistico che il soffitto non c’è, e al suo posto vi è lo spazio virtuale creato dall’affresco. In questo secondo modello vengono molto accentuati gli effetti di scorcio e la costruzione prospettica dello spazio.

Uno dei motivi che più distingue i pittori rinascimentali da quelli barocchi è proprio l’uso della prospettiva. Nei primi la prospettiva era una tecnica che rendeva chiaro e razionale lo spazio rappresentato, nei secondi invece la prospettiva è usata per ingannare l’occhio e far vedere spazi che non esistono, in maniera illusionistica. Inutile dire che per usarla in questo secondo modo, bisognava conoscere la prospettiva in maniera perfetta ed essere dei virtuosisti nel suo uso. E tuttavia tutta questa «arte», o tecnica, era usata non per la verità ma per rendere apparentemente vero il falso. Questo è uno dei motivi di fondo che più ci danno l’idea della distanza che passa tra estetica rinascimentale e estetica barocca.

La pittura del Seicento, tuttavia non è solo quella barocca. In particolare nel corso del secolo possiamo distinguere altre due correnti fondamentali, oltre quella barocca: il realismo, di derivazione caravaggesca, e il classicismo, di derivazione carraccesca. Nella prima corrente rientrano, in particolare, le maggiori esperienze europee del XVII secolo: quelle che si sviluppano in Olanda e in Spagna e nel regno di Napoli. Grandi interpreti di questa tendenza furono Rembrandt, Vermeer, Velazquez, solo per citare i maggiori. Nella corrente del classicismo ritroviamo innanzitutto i pittori bolognesi diretti allievi dei Carracci quali il Guido Reni e il Domenichino, ma anche pittori francesi, ma attivi a Roma, quali Nicolas Poussin o Claude Lorrain. In sintesi l’arte del Seicento, molto più variegata di quel che sembra, si divide nella ricerca del vero (realismo), dell’idea (classicismo) o dell’artificio (barocco).

La scultura, non meno della pittura, si divide in queste tre correnti fondamentali. Ma di certo la scultura di stile barocco, proprio per la sua maggior capacità di legarsi agli spazi architettonici e urbanistici, risulta quella che più segna l’immagine del secolo. Grandi monumenti, effetti teatrali e scenografici, virtuosismo e decoratività sono gli ingredienti che nascono soprattutto dal genio di Gian Lorenzo Bernini, che si può senz’altro considerare l’esponente più importante della scultura barocca.

Decorazione ed illusione

Uno dei parametri che meglio definiscono la posizione estetica del barocco è dato dal concetto di «immagine», quale apparenza illusoria di qualcosa che nella realtà può anche essere diverso. In pratica è proprio nell’età barocca che si apre una separazione

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tra l’essere e l’apparire dove il secondo termine prende una sua indipendenza dal primo al punto che non sempre, o quasi mai, ciò che si vede è ciò che è.

Ciò che viene a modificarsi è il rapporto fondamentale tra rappresentazione e

conoscenza. Durante l’età umanistica, la conoscenza attraverso i sensi aveva un valore positivo: cercando di capire ciò che si osservava si acquisiva una nuova comprensione del reale. Era un notevole progresso rispetto ad una conoscenza che in età medievale era ammessa solo come interpretazione simbolica delle sacre scritture. E in età umanistica artista e scienziato (anche se per quell’età è improprio usare questo secondo termine) potevano ancora essere la stessa persona. Nel Seicento ciò non è più possibile. La nascita delle scienze sperimentali e i progressi delle discipline matematiche hanno portato la conoscenza in ambiti diversi da quelli esperibili attraverso i sensi. Anzi, la conoscenza attraverso i sensi viene messa decisamente in crisi, se pensiamo a quanto questi possono essere fallaci come nel caso della sfericità della terra o del suo movimento rotatorio e di rivoluzione intorno al sole. In pratica non sono più i sensi, ma l’intelletto, la chiave di volta per accedere alla conoscenza del vero.

In questa inaspettata ma inevitabile evoluzione, l’arte finisce per restare confinata al rango di attività che controlla solo le apparenze, senza doversi più preoccupare del vero: diviene un’attività finalizzata unicamente al decoro. Ciò finisce per essere in linea anche con l’aspettativa del tempo, dove il problema del decoro, inteso come rappresentazione di sé nel contesto della società, diviene punto nodale della vita sociale del tempo. Ovvero, mai come in questo tempo, apparire assume un valore di fondamentale importanza e universalmente accettato.

Ma perché apparire ed essere non possono, o non riescono, a coincidere nel XVII secolo? Uno dei motivi è sicuramente rintracciabile nella evoluzione del rapporto chiesa-società a seguito della Controriforma e della imposizione di una ortodossia religiosa attraverso l’uso dei tribunali dell’Inquisizione. È sicuramente vero che nel XVII secolo vengono gettate le basi del moderno pensiero scientifico, ma è altrettanto vero che i conflitti con il pensiero religioso furono altamente drammatici, come nel caso di Galileo Galilei. Il Seicento non fu certo un secolo in cui era facile

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vivere, e «salvare le apparenze» poteva risultare molto vitale per la propria sopravvivenza, anche a costo della verità.

Ma di certo un altro motivo di questa aumentata importanza dell’apparire va rintracciato nell’aumento della ricchezza che investì l’Europa dopo lo sfruttamento delle colonie da parte delle nazioni più attive nelle conquiste militari, come la Spagna o l’Inghilterra o più attrezzate nei commerci marittimi e internazionali come i Paesi Bassi e il Portogallo. L’aumento di benessere ebbe come conseguenza un divario maggiore tra classi ricche (aristocratici, ecclesiastici, borghesi, militari e mercanti) e classi povere (contadini, artigiani e proletari in genere), e siccome l’arte rimase ad ovvio ed esclusivo servizio dei primi, non poteva che esaltare la loro condizione di decoro quale segno di potere ed importanza.

Se si entra in una siffatta mentalità è ovvio che la possibilità di controllare l’immagine, fino al limite dell’illusione, è un’attività molto apprezzata, ma di driore: non si è mai certi se ciò che si vede è vero o è solo un’illusione creata ad arte.

L’ARCHITETTURA BAROCCA

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Uno dei primi parametri nel definire lo stile barocco è sicuramente l’uso privilegiato che si fece della linea curva. Nulla procede per linee rette ma tutto deve prendere andamenti sinuosi: persino le gambe di una sedia o di un tavolo devono essere curvi, anche se ciò non sempre può essere razionale. Le curve che un artista barocco usa non sono mai semplici, quali un cerchio, ma sono sempre più complesse. Si va dalle ellissi alle spirali, con una preferenza per tutte le curve a costruzione policentrica.

Tanto meglio se poi i motivi si ottengono da intrecci di più andamenti curvi.

Chiesa di Sant'Ivo alla Sapienza, Roma

Un altro parametro stilistico del barocco è sicuramente la complessità. Nulla deve essere semplice, ma deve apparire come il frutto di un virtuosismo spinto agli estremi del possibile. In pratica l’effetto che un’opera barocca deve suscitare è sempre la meraviglia. Dinanzi ad essa si doveva restare a bocca aperta, chiedendosi come fosse possibile realizzare una cosa del genere..

Un altro parametro del barocco può essere considerato l’horror vacui. Con tale termine si indica quell’atteggiamento di non lasciare alcun vuoto nella realizzazione di un’opera. In un quadro, ad esempio, ogni centimetro della superficie veniva sfruttato per inserire quante più figure possibili. In una superficie architettonica non vi era neppure un angoletto piccolo e nascosto che non veniva stuccato con qualche cornice dorata o con qualche inserto di finto marmo. Ciò produce la sensazione che un’opera barocca abbia una «densità» eccessiva: una pietanza con troppi ingredienti.

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Altro elemento tipico del barocco è ovviamente l’effetto illusionistico. Ciò è intimamente legato all’atteggiamento di considerare l’arte soprattutto come decorazione. Per cui i finti marmi o le dorature erano utilizzate in sovrabbondanza, per creare l’illusione di preziosità non reali ma solo apparenti. Ma l’effetto illusionistico è utilizzato anche in pittura e in scultura. Nel primo caso la grande padronanza tecnica della prospettiva consentiva di creare effetti illusionistici di grande spettacolarità, come avveniva spesso nelle grandi decorazioni ad affresco. In scultura la padronanza tecnica al limite del virtuosismo più esasperato, consentiva di imitare nel duro marmo aspetti di materiali più morbidi con effetti illusionistici straordinari.

Duomo di Milano

Un ultimo parametro dello stile barocco è infine l’effetto scenografico. Le opere barocche, in particolare quelle architettoniche e monumentali in genere, costituiscono sempre dei complessi molto estesi che segnano con la loro presenza tutto lo spazio disponibile. In tal modo il barocco è la quinta teatrale per eccellenza che faceva da cornice alla vita del tempo, anch’essa regolata da aspetti e cerimoniali improntati a grande decoro.

Nel corso del Seicento l’architettura svolgerà sempre più un ruolo trainante per definire i nuovi parametri stilistici del barocco. In realtà, come abbiamo già detto sopra, il barocco è uno stile che trova la sua maggior definizione proprio in ambito architettonico, al punto che appare congruo parlare di architettura barocca, meno congruo parlare di uno pittura o di una scultura barocche.

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Anche in architettura il parametro stilistico fondamentale fu il decorativismo eccessivo e ridondante, intendendo con il termine «decorazione» un qualcosa che è aggiunto per abbellire. Questo abbellimento era quindi un qualcosa di applicato, di sovrapposto, che non nasceva dalla sostanza delle cose. Per cui si venne a creare anche in architettura uno iato tra essenza ed apparenza.

Negli edifici barocchi, la struttura e l’aspetto dell’edificio erano considerati come momenti separati. Il primo, la struttura, seguiva logiche sue proprie, il secondo, l’aspetto, veniva affidato alle decorazioni aggiunte con marmi e stucchi. Queste decorazioni erano quasi una pelle dell’edificio, che poteva anche essere tolta, senza che la costruzione perdeva la sua staticità o la sua funzionalità, ma che sicuramente perdeva la sua bellezza.

Quindi, la differenza tra rinascimento e barocco, in architettura, si basava su questa diversa concezione dell’edificio. L’architetto rinascimentale cercava la bellezza nella giusta proporzionalità delle parti dell’edificio, che quindi risultava gradevole all’occhio per il senso di armonia che suscitava. E abbiamo visto che, per far ciò, l’architetto rinascimentale, usava, come strumento progettuale, gli ordini architettonici, affidando ad essi anche la decorazione dell’edificio. L’architetto barocco, invece, non cercava un senso di pacato e sereno godimento estetico, ma cercava di stupire, di suscitare una reazione forte di meraviglia. E per far ciò ricorreva alla decorazione eccessiva e fantasiosa, che creasse così un effetto di ricchezza e preziosità.

Tutto questo decorativismo finì per creare, in realtà, un effetto scenografico. Le facciate degli edifici divenivano le quinte di uno spazio scenico, che erano le vie e le piazze cittadine. Il barocco ebbe, infatti, una diversa concezione degli spazi urbani e dell’urbanistica. Anche qui furono bandite le regolari geometrie preferite dagli architetti rinascimentali, che disegnavano città dalle forme perfette. Ma soprattutto cambiò l’atteggiamento della tecnica di intervento urbano.

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L’edificio rinascimentale aveva un principio di regolarità geometrica che doveva imporsi sugli spazi circostanti, che dovevano loro adattarsi all’edificio, e non viceversa. In realtà, quanto fosse pretestuosa e difficilmente perseguibile una simile ottica, apparve alla fine evidente. E gli architetti barocchi, piuttosto che modificare gli spazi urbani in funzione dell’edificio che andavano a progettare, preferirono adattare quest’ultimo al contesto, inserendolo senza forzature eccessive. Le città, in cui si trovarono ad operare sia gli architetti rinascimentali sia barocchi, si erano in larga parte formate e modificate nel medioevo, secondo visioni quindi tutt’altro che geometriche. Le città, tranne parti ben limitate, avevano per lo più forme irregolari. L’architetto barocco, senza nessuna pretesa di regolarizzare l’irregolare, sfruttò anzi tale complessità morfologica per ottenere spazi urbani più mossi e ricchi di scorci

suggestivi.

Baldacchino di San Pietro

Alla fine, l’architetto barocco, dato che aveva concettualmente separato la struttura dalla decorazione, finì per modificare l’aspetto delle città, se non la struttura, molto di più di quanto avessero fatto gli architetti precedenti. Infatti in questo periodo, si provvide ad un sostanziale «rinnovo» urbano, che interessò facciate di palazzi, o interni di chiese, che assunsero un aspetto decisamente barocco.

La nuova architettura, abbiamo detto, instaurava un rapporto nuovo tra edifici e spazi urbani. Gli ambiti cittadini erano considerati alla stregua di spazi teatrali, e i prospetti degli edifici fungevano da quinte scenografiche. Ma gli spazi urbani non si compongono solo di edifici. In essi vi sono fontane, scalinate, monumenti ed altro,

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che arricchiscono questi spazi di altre presenze significative. Ed il barocco dedicò notevole attenzione a questi elementi di «arredo urbano». A Roma, notevoli esempi sono la Fontana di Trevi e la scalinata di Trinità dei Monti, per citare solo due tra gli esempi più noti.

Un dato stilistico fondamentale del barocco fu la linea curva. In questo periodo, infatti, nulla era concepito e realizzato secondo linee rette, ma sempre secondo linee sinuose. Il rinascimento aveva idealmente adottato come propria cifra stilistica il cerchio, che appariva la figura geometrica più perfetta ed armoniosa. Altre linee curve erano considerate irrazionali o bizzarre. Il barocco, invece, preferiva curvature più complesse, quali ellissi, parabole, iperboli, spirali e così via. E queste curve non erano mai esibite in modo esplicito, ma erano ulteriormente complicate da intersezioni o sovrapposizioni, così che risultassero quasi indecifrabili.

La concezione della curva ci permette di distinguere due momenti nella vicenda del barocco: una prima fase, in cui si cercava di movimentare secondo linee curve anche la struttura e la spazialità degli edifici; una seconda fase, in cui gli edifici divennero

più regolari, e adottarono linee curve solo nella decorazione.

S.Carlo alle Quattro Fontane di Borromini

La prima fase è senz’altro quella più interessante ed innovativa. Essa prese avvio a Roma, agli inizi del Seicento, grazie ad alcuni architetti di notevole livello artistico: Francesco Borromini, Gian Lorenzo Bernini e Pietro da Cortona.

Benché i loro edifici furono il frutto di una evoluzione continua, che trovava le premesse nell’ultima architettura rinascimentale romana, tuttavia furono concepiti con una idea rivoluzionaria: quella di rendere curve le piante degli edifici. Soprattutto il Borromini, in alcune chiese come S. Carlo alle Quattro Fontane o Sant’Ivo alla

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Sapienza, ruppe decisamente con le tipologie fino allora adottate, inventandosi delle chiese, ad aula unica, dalla morfologia e dalla spazialità assolutamente originali. Il Bernini, nel disegnare il colonnato di San Pietro, adottò un’ellissi, e raccordò il colonnato alla facciata con due linee non parallele ma convergenti: una chiara dimostrazione del nuovo gusto barocco. Pietro da Cortona, nella chiesa di S. Maria della Pace, curvò a tal punto gli elementi del prospetto, da creare un inedito rapporto tra edificio e spazio urbano. La curvatura dei prospetti divenne uno dei motivi più felici dell’architettura barocca a Roma, trovando applicazioni notevoli per tutto il Seicento e il Settecento.

Come era già successo precedentemente, con altri ordini religiosi o monastici, il barocco divenne lo stile architettonico dei gesuiti, che esportarono questo stile anche nelle loro missioni estere. Ma divenne anche lo stile della controriforma cattolica. Il Concilio di Trento affrontò, oltre a varie questioni dottrinarie, anche aspetti della liturgia, che ebbero notevoli riflessi sull’architettura religiosa. Nel riadattare le chiese a queste nuove liturgie post-tridentine, molti edifici di costruzione medievale furono «rinnovati», mediante abbellimenti con stucchi, marmi e decorazioni varie, che fecero assumere a queste l’aspetto di chiese barocche.

In campo europeo l’architettura barocca ebbe notevole diffusione, soprattutto nei paesi latini. Il Portogallo e la Spagna ebbero un’adesione immediata a questo stile, esportandolo anche nelle loro colonie dell’America Latina. Dal Messico all’Argentina, dalla Bolivia al Cile, il barocco divenne lo stile dei nuovi conquistatori. L’Europa centro-settentrionale si convertì al barocco soprattutto alla fine del XVII secolo, e dalla Francia all’Austria, trovò applicazioni quanto mai fantasiose e ricche. Divenne lo stile del Re Sole, e degli Asburgo, oltre che dei Borbone, creando quel mondo di eleganza e di sfarzosità nelle corti europee del XVIII secolo.

La decorazione barocca

Nei primi decenni del Seicento si assiste a un progressivo superamento dell’illusionismo prospettico rinascimentale e all’affermazione di una nuova concezione spaziale e decorativa capace di suggerire l’illusione di spazi aperti e infiniti, protratti oltre i limiti materiali dell’architettura reale. Inaugurata dal grande affresco di Pietro da Cortona nel salone di Palazzo Barberini, la decorazione barocca ha il suo centro propulsore in Roma da dove si diffonde nelle più importanti città italiane e, con qualche resistenza, in Europa, dove i modelli italiani si affermano solo allo scadere del secolo con caratteristiche che anticipano il gusto rocaille.

Lo spazio infinito e la “natura-spettacolo”

Nel panorama della civiltà figurativa del Seicento la decorazione ad affresco rappresenta un’esperienza fondamentale in cui si realizzano al massimo grado gli

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aspetti più vistosi e spettacolari della poetica barocca. Nei vasti spazi affrescati all’interno dei palazzi e delle chiese gli artisti affermano soprattutto il primato dell’immaginazione sull’intelletto e l’assoluta fiducia nell’ingegno e nella tecnica, quali riserve di energie capaci di suscitare illusioni, suggestioni ed emozioni. In particolare l’illusiva rappresentazione dello spazio come “infinita continuità spaziale” diviene il tema fondamentale della decorazione barocca, traducendo in termini visivi la nuova concezione del mondo e il nuovo sentimento della natura scaturiti dalle scoperte scientifiche di Copernico, Keplero e Galilei. La fine della concezione geocentrica dell’universo aveva significato per l’uomo non solo la perdita di ogni centralità, ma anche la coscienza di essere parte di un universo infinito, regolato da leggi eterne, estranee alla logica e al controllo della mente umana.

All’inizio del secolo questo presentimento dell’infinito aveva profondamente turbato la generazione di Giordano Bruno, Campanella e Caravaggio, generando inquietudine e smarrimento. Nei decenni successivi la situazione muta rapidamente e, in un ambiente ormai libero da conflitti morali, si stabilisce un rapporto più fiducioso con la nuova realtà e le sue apparenze: nell’infinita molteplicità e varietà dei suoi aspetti la natura appare alle nuove generazioni come uno spettacolo esaltante e grandioso di cui si sentono intensamente partecipi.

Come ha scritto Briganti, “mettere in scena il mondo” diviene l’aspirazione dei grandi decoratori barocchiche, recuperata piena fiducia nei propri mezzi espressivi, moltiplicano gli strumenti adatti a suggerire“il nuovo sentimento turbinoso e centrifugo dell’infinito di natura” attraverso l’illusione di spazi aperti, protratti oltre ogni limite materiale e popolati di figure fluttuanti nella vastità di cieli luminosi.

Questa visione del mondo, così moderna e vitale, e questa rinnovata esuberanza creativa si legano ben presto alle aspirazioni di una ristretta minoranza laica ed ecclesiastica che, nel contesto di più favorevoli condizioni storiche, conferisce all’arte un’investitura ufficiale, trasformandola in uno strumento efficacissimo di persuasione e propaganda politica e religiosa.

Mentre i sovrani chiedono all’arte di assecondare le proprie ambizioni e di legittimare il proprio potere celebrandone i benefici, la Chiesa, abbandonata la lotta contro il protestantesimo, si serve del linguaggio delle immagini quale strumento di comunicazione per riaffermare la propria autorità e avviare una politica di autoglorificazione.

Nasce così, alla fine del terzo decennio, la grande stagione decorativa del barocco che avrà in Roma un formidabile centro propulsore di idee e soluzioni. Qui la nuova Maniera è inaugurata dallo spettacolare affresco dipinto da Pietro da Cortona, tra il 1633 e il 1639, sul soffitto del salone di Palazzo Barberini. Sullo spazio immenso della volta il tema della natura-spettacolo si coniuga con le intenzioni celebrative del nuovo pontefice Urbano VIII, al secolo Maffeo Barberini, che fin dall’anno della sua elezione (1623) aveva promosso importanti imprese architettoniche e decorative, convertendo l’arte alla causa di un cattolicesimo ormai rassicurato e trionfante. Il soffitto Barberini si colloca nella vicenda decorativa del Seicento quale modello per

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tutte le successive varianti proposte dai più qualificati esponenti del movimento barocco. A monte di questo exploit si devono tuttavia segnalare alcuni episodi nei quali la critica ha individuato da tempo i precedenti delle tendenze affermatesi dopo il 1630. Si tratta infatti di soluzioni che, pur muovendosi ancora nel solco della tradizione prospettica rinascimentale, aprono decisamente verso una nuova spazialità illusiva e coinvolgente.

Ciò vale innanzitutto per il precedente illustre della galleria Farnese (1597-1601), dove Annibale Carracci aveva immaginato le varie scene come finti quadri appesi alla struttura architettonica dipinta e aveva creato l’illusione di una aerea galleria di

Il Carro dell’Aurora, realizzato dal Guercino, all’interno della Casina dell’Aurora

pitture sospesa sul capo dello spettatore. Tuttavia la complessa struttura rispettava ancora i limiti e la compattezza della volta, concepita come entità reale e spazialmente definita.

La svolta decisiva si determina, vent’anni dopo, a opera di due allievi dei Carracci, Guercino e Lanfranco, che nella decorazione del casino Ludovisi (1621-23) e della cupola di Sant’Andrea della Valle (1625-27) anticipano l’illusionismo aereo del barocco spalancando la visione sullo scenario di cieli colorati e luminosi. Nel soffitto del Casino Ludovisi l’apparizione del carro dell’Aurora, che solca il cielo aprendosi un varco tra le nubi, irrompe improvvisa e inattesa, sovrapponendosi alla trama serrata delle architetture in prospettiva dipinte sulle pareti da Agostino Tassi. La libertà del colore, steso a macchia, suscita effetti di luci mutevoli e di penombre e crea l’illusione di uno spettacolo naturale vivo e palpitante.

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Nella cupola di Sant’Andrea della Valle il Lanfranco, dipingendo la Gloria celeste con la Vergine Assunta, recupera la straordinaria invenzione del Correggio che, un secolo prima, aveva concepito, nella cupola del duomo di Parma (1526-28), uno spazio aperto e senza limiti, generato dal libero disporsi delle figure entro un vorticoso moto a spirale.

La versione aggiornata proposta dal Lanfranco rilancia l’attualità dell’invenzione correggesca che diviene modello per analoghe imprese decorative fino al Settecento inoltrato.

Gli sviluppi della decorazione barocca in Italia

Dopo l’episodio fondamentale del soffitto Barberini la decorazione barocca si sviluppa attraverso le proposte, diverse ma complementari, elaborate ancora da Pietro da Cortona, dal genovese Giovanni Battista Gaulli, detto il Baciccio, e dal padre gesuita Andrea Pozzo, secondo una traiettoria che giunge a coprire tutto il secolo. All’inizio del quinto decennio la decorazione di alcune sale di Palazzo Pitti a Firenze (1641-47) offre a Pietro da Cortona l’occasione di mettere al servizio delle ambizioni mondane del granduca Ferdinando II le conquiste del nuovo stile. Richiedendo all’artista l’illustrazione, in chiave mitologica, delle virtù necessarie a un principe, Ferdinando II mostra infatti di allinearsi sulle posizioni di quello “spirito supernazionale che formava le basi dell’assolutismo europeo”.

Anche in questa occasione l’artista riesce a tradurre i complessi soggetti allegorici in immagini fortemente evocative dove l’atmosfera degli antichi miti rivive in un clima di serena elegia (sala di Venere) o di avventurosa epopea (sala di Marte). In alcune sale l’esuberante vitalità cortonesca coinvolge anche l’apparato decorativo di stucchi bianchi e dorati che conferiscono all’insieme una straordinaria luminosità. Questa combinazione di pittura e ornato plastico troverà ampio seguito soprattutto in Francia, dove il modello fiorentino sarà esportato da un allievo tra i più dotati di Pietro da Cortona, Giovan Francesco Romanelli.

L’inesauribile creatività del Cortona ha modo di manifestarsi ancora negli affreschi della Chiesa Nuova e nella decorazione della galleria di Palazzo Doria-Pamphilj in piazza Navona, con soluzioni in grado di esercitare un’influenza determinante sugli artisti contemporanei e sulle successive generazioni.

Una nuova concezione, indipendente dai modelli cortoneschi, è invece quella elaborata dal Baciccio nella volta della navata della Chiesa del Gesù a Roma (1672-1679). Nel grandioso affresco con il Trionfo del nome di Gesù, il Baciccio rimedita il precedente della cupola del Correggio e, contemporaneamente, si impegna in una spettacolare trasposizione delle idee plastico-decorative espresse dal Bernini nella volta della Cappella Cornaro e nella cattedra di San Pietro, realizzando la fusione illusiva e materiale di architettura, scultura e pittura. La pittura ad affresco supera infatti il limite della cornice e dilaga sulle figure modellate in stucco che segnano il passaggio tra lo spazio dipinto e l’architettura reale, tra artificio e realtà. La luce che

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si irradia dal monogramma di Cristo suscita intensi effetti chiaroscurali e assume una duplice valenza, atmosferica e simbolica, con evidente riferimento all’azione della grazia e all’opera di salvezza del Cristo e della Chiesa: mentre i corpi dei dannati precipitano nel vuoto e nelle tenebre, le anime dei beati, attirate dall’amore divino, si perdono nelle profondità diafane del cielo. L’illusionismo visionario del Gaulli si impone come un nuovo “segno” del barocco e come “il simbolo più chiaramente allusivo del carattere del secolo, della sua retorica e della sua accesa sensibilità religiosa” (Spinosa). Questo esempio eserciterà una vasta influenza nei centri che avranno più intensi rapporti con il barocco romano, in

La volta centrale della navata della chiesa del Santissimo Nome di Gesù, a Roma, ospita il capolavoro pittorico di Giovan Battista Gaulli, detto “Baciccio” (1639-1709). Si tratta dell’affresco intitolato “Trionfo del Nome di Gesù”. L’artista genovese tra il 1674 e il 1679 fu introdotto a lavorare nella chiesa madre della Compagnia di Gesù grazie ai buoni uffici di Bernini. Il soffitto si

spalanca davanti allo stupore dello spettatore: le immagini, investite dal raggio di luce che parte dal centrale “Monogramma

di Cristo”, esplodono interagendo, grazie anche alla sapiente ombreggiatura realizzata sul bordo inferiore della cornice, con

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