CAPITULO I Il contesto storico 11
2.1. La nozione di “Decadentismo” italiano: rassegna storica
2.1.5. Il “Decadentismo” italiano: una proposta di lavoro
L’ampio dibattito suscitato dal fenomeno culturale e letterario del “Decadentismo”
italiano tra le varie correnti di critica ce ne restituisce la complessità. Purtroppo la mancanza di un approdo comune, di un accordo sull’estensione e sul significato culturale da attribuire al termine ha creato nel passato e crea tutt’ora una gran confusione semantica nell’uso del vocabolo. Ma se allora le difficoltà sorgevano per lo più dal condizionamento prodotto dalla prospettiva critica, ideologica e metodologica, di recente, e dopo il notevole lavoro di revisione compiuto sulla nozione storiografica, il problema di una definizione scaturisce dalla conoscenza dettagliata di un periodo per nulla monolitico e di conseguenza difficilmente riconducibile all’interno di uno schema sintetizzante.
Nel tentativo di offrire il nostro punto di vista di tale momento, occorrerà fin da ora prendere delle decisioni vincolanti sia per quanto riguarda la scelta del vocabolo che per l’indicazione dei limiti cronologici. Per il termine, anche noi in questa sede, ci atterremo a quello di “Decadentismo”, il più consueto all’interno della critica italiana assai restia ad adottare vocaboli diversi da quelli della tradizione storiografica.
Ormai liberata dal pesante giogo della radice etimologica e delle diverse accezioni negative attribuitegli, la parola designa una stagione della cultura italiana dalla fisionomia
157 In Francia con la parola Decadentismo ci si riferisce al movimento letterario poetico che si sviluppa intorno alla rivista Le Décadant; in Inghilterra si parla di Estetismo a proposito, ad esempio, dei Preraffaelliti o di Oscar Wilde; infine in Germania e in Spagna non è un vocabolo usato dalla critica letteraria.
alquanto complessa che si manifesta con caratteri precisi dopo il 1885 e giunge al primo decennio del Novecento, disperdendosi con l’irruzione delle avanguardie storiche. L’aver dato un’indicazione cronologica del genere significa propendere per una determinata visione del periodo in questione. Il presente studio nasce da un’approssimazione strettamente storica attenta al concorrere e all’intersecarsi di vari fattori e linee di tendenza, nella stragrande maggioranza di transizione, e finalizzata quindi alla contestualizzazione degli autori e delle loro opere. Per quanto riguarda la periodizzazione mi trovo d’accordo con quanti fanno coincidere l’estensione del movimento decadente italiano a poco più di vent’anni: dalla pubblicazione di Malombra (1881) a quelle nel 1903 delle Laudi dannunziane e dei Canti di Castelvecchio di Pascoli158. Da lì a qualche anno infatti esploderanno le avanguardie –vociani, espressionisti, futuristi– e si consumerà la svolta verso il “moderno” con i più maturi risultati artistici di Svevo e di Pirandello.
Tuttavia, che sia arduo stabilire il discrimine tra “Decadentismo” e Novecento è un dato di fatto159. Che alcune linee poetiche del “Decadentismo”, soprattutto per quanto riguarda il processo di dissoluzione dei modelli ottocenteschi, siano operanti lungo tutto il Ventesimo secolo è per certi versi innegabile. Che tradissero inoltre quel sentimento di angoscia esistenziale in cui si concretizzò posteriormente la perdita delle certezze positivistiche è altrettanto plausibile. Ma mi pare che le motivazioni storiche, le circostanze concrete che dettarono o orientarono le risposte poetiche dei nostri autori decadenti si modificarono non poco nel corso dell’età giolittiana e definitivamente all’indomani della “Grande Guerra”.
Inoltre sul piano letterario, le teorie estetiche ma anche filosofiche e scientifiche appena abbozzate in ambito europeo, e presentite in Italia, nei primi decenni del Novecento produssero i loro frutti di modernità a secolo già ben inoltrato. Per quanto riguarda le avanguardie, in particolare, va ricordato che la loro fondamentale forza iconoclasta si incarnava in una polemica “antipassatistica” e si risolveva in una volontà di distacco e di autonomo sviluppo rispetto alle esperienze decadentistiche. La postura ferocemente antidannunziana degli accoliti della rivista letteraria La Voce è un esempio calzante
158 Tale termine a quo va inteso con certa flessibilità fino a comprendere alcune opere come Il fu Mattia Pascal (1904) di Pirandello in bilico tra l’Otto e il Novecento. Si rimanda su tale questione al quarto capitolo
“Nuovi percorsi narrativi”.
159 Infatti c’è chi s’inclina ad un uso molto più estensivo del vocabolo fino a identificarlo con le manifestazioni letterarie e culturali del Novecento comprendendo le avanguardie, Svevo e Tozzi, le esperienze ermetiche e postermetiche, orfiche e neorfiche, Montale e Campana, le neoavanguardie degli anni Sessanta e talune opere di Moravia, Pavese, Calvino.
dell’emergere di diverse prospettive intellettuali e letterarie rivendicanti una propria originalità160.
Per parlare dell’inzio del “Decadentismo” italiano è inevitabile evocare il retroterra europeo a cui si rivolse la cultura e la letteratura del Paese per rinnovarsi. Tuttavia tale operazione di assimilazione viene marcata dalla specificità e singolarità del momento storico. Avviene infatti in un quadro di grave arretratezza sociale ed economica, nonché artistica, rispetto alle più avanzate Francia e Inghilterra. Ciononostante, come abbiamo avuto modo di approfondire nell’ampia ricognizione storica contenuta nel primo capitolo, sebbene l’Italia rimanesse al margine dei travagliati processi di modificazione in atto nelle maggiori nazioni alla fine del secolo, anch’essa, pur presentando condizioni assai difformi, si trovava alle prese con radicali cambiamenti. Era in atto un’articolata e delicata transizione: da una parte la titanica impresa di costituirsi quale nazione unitaria, dall’altra l’urgenza di una modernizzazione complessiva che rimediasse al ritardo del sistema produttivo. È imprescindibile dunque ricordare la complessa situazione italiana di fine secolo. Costituiscono infatti il corrispettivo storico e morale alla coeva fase di transizione della civiltà occidentale, il concorrere dei seguenti avvenimenti: la difficoltosa sopravvivenza del nuovo Stato unitario in senso liberale, il diffuso malcontento generato dalle promesse risorgimentali frustrate e dagli ideali traditi, la disuguale e tardiva modernizzazione del sistema produttivo, la contraddittoria ricerca di un’identità della recente classe borghese nazionale, la bruciante sconfitta ad Adua (1896) con cui si conclude l’esperienza coloniale ottocentesca, le sommosse popolari e i metodi autoritari del governo alla fine del secolo. Una svolta variamente stratificata che ispirava quel sentimento di crisi, di decadenza, di chiusura di una grande epoca nel quale si sublimava e metaforizzava il complesso passaggio dal mondo della trionfante borghesia liberale e della rivoluzione industriale, a quello novecentesco del capitalismo e dell’imperialismo.
Sul piano letterario sono anni in cui gran parte dell’Europa, dopo aver assistito al diffondersi e al consolidarsi delle dottrine naturalistiche e parnassiane, guardava con curiosità alle nuove mode letterarie francesi. Qui si pubblicavano testi capitali in questo senso come Controcorrente (1884) di Joris-Karl Huysmans o il Manifesto del Simbolismo
160 Benussi chiarisce sinteticamente che: “questi sono gli anni che vedono un mutamento repentino di tutto un clima culturale: gli intellettuali hanno capito di non poter competere con i politici e cominciano a ritagliarsi uno spazio autonomo e specialistico, nasce la “Voce” e con essa si attua uno spostamento significativo dal piano di una battaglia ideologico-politica a una morale e civile; D’Annunzio è rifiutato da tutti, di Carducci piace il versante intimo e nostalgico e non più quello civile [...] escono i primi romanzi sperimentali [...]”, cfr. M. C. Benussi, “Il decadentismo in Pirandello”, Quaderni del Vittoriale, 36 (nov.-dic.
1982), pp. 49-62, p. 59.
di Jean Moréas su Le Figaro del 18 settembre 1886 o si consumava la breve stagione dei décadents. Il tutto prometteva un ribaltamento dei motivi e dei procedimenti stilistici consueti sulla base dei nuovi principi estetici che i letterati francesi si sforzavano di fondare per l’occasione. Questo fu solo l’avvio di una variegata stagione culturale che coinvolse, con modalità diverse da paese a paese, l’intera civiltà europea. Si assisté difatti al proliferare di esperienze artistiche a stento assimilabili, malgrado fossero originate da un comune sostrato culturale, quello della crisi delle istanze del razionalismo e del realismo, e fossero strette in una compatta rete tematica.
Da tali sommarie indicazioni si desume che, sul piano delle idee, la nascita del
“Decadentismo” italiano rientra nel generalizzato movimento d’opposizione al dominio del Positivismo che si traduce in letteratura in un superamento dei dettami naturalistici e classicistici. Se si pensa però che tale reazione prelude alla profonda crisi che, epistemologica all’inizio, ebbe poi risvolti esistenzialisti e attraverserà tutto il Novecento, diventa allora quasi contradditorio parlare di una chiusura e ancor più attribuirgli un significato culturale distintivo. Ma se ci si attiene ai fatti si può rintracciare nel particolare contesto italiano tra Otto e Novecento il percorso compiuto dagli intellettuali nello sforzo di sbloccare una situazione alquanto stagnante e provinciale, al fine di colmare il divario con altre realtà più propositive. Da una parte hanno ormai preso atto della crisi della vecchia cultura liberale di derivazione romantico-risorgimentale e dall’altra mettono in discussione quel positivismo evoluzionistico a cui si erano rivolti i rappresentanti della nuova cultura postunitaria, tra cui spiccava Roberto Ardigò, nel tentativo di svecchiare i propri strumenti conoscitivi.
Approfondendo il discorso sul percorso compiuto dalla cultura tra Otto e Novecento, va detto che gli intellettuali dell’Italia unita erano stati magnetizzati dalla filosofia del Positivismo francese così come dalle teorie darwiniane e dall’evoluzionismo di Spencer che incoraggiarono lo sviluppo delle scienze sociali sulla base delle leggi e dei metodi proposti dai progressi compiuti nel campo della biologia. Valga per tutti il nome del fondatore dell’antropologia criminale, Cesare Lombroso. L’essere umano studiato con i metodi della scienza divenne il prodotto dell’irresistibile progresso della Storia e della natura in evoluzione mentre le dinamiche psicologiche vennero considerate il risultato di fattori ambientali, storici ed ereditari. Il principio dell’oggettività del dato positivo e la nozione materialistica della realtà limitava lo scibile a tutto ciò che fosse suscettibile di indagine empirica. Tali concezioni venivano poi trasferite all’ambito estetico fungendo da
presupposti dell’esperienza veristica. La reazione comunque non si fece attendere troppo.
Come sottolinea Bobbio:
l’enorme sforzo intellettuale necessario al passaggio da una cultura di tipo letterario o sacerdotale a una cultura scientifica e tecnica era destinato a suscitare una risposta di tipo spiritualistico, un ritorno all’interiorità, un richiamo alle profondità dell’anima contro la presunzione dell’intelletto.161
Termini come “spirito”, “intuizione”, “ideale”, “azione”, “potenza” divennero infatti le nuove bandiere delle tendenze irrazionalistiche.
Le prime avvisaglie dell’intolleranza verso le strettoie imposte dal materialismo ottocentesco e dallo scientismo positivista si hanno nei pronunciamenti di alcuni giovani letterati che orbitavano intorno a circoli meno tradizionalisti, con sede a Roma, Milano e Firenze, e più aperti al “gran movimento della rinascenza idealistica, ch’altro non era se non una piccola parte di quello diffuso in Europa e che aveva i suoi padri spirituali in Schopenhauer, Tolstoi, Nietzsche, Pater, Ruskin, Maeterlinck, Ibsen”162. Si potevano inoltre ravvisare nelle linee programmatiche di alcune tra le molteplici riviste letterarie che fiorirono a cavallo dei due secoli, quali la sommarughiana Cronaca bizantina, Il Convito o la fiorentina Marzocco. Intorno ai centri e alle riviste, mezzi di divulgazione del gusto estetizzante, gravitavano personalità critiche e artistiche come Gabriele D’Annunzio, Edoardo Scarfoglio, Matilde Serao, Vittorio Pica, Angelo Conti, Guido Salvadori e molti altri. Cultori del bello e della perfezione assoluta tentavano la via del rinnovamento di poetiche, di temi e di linguaggio all’insegna di una continua tensione tra stimolanti novità europee e retaggio classicista. Risentivano inoltre, come detto poc’anzi, delle correnti idealistiche che attraversavano l’Europa e polemizzavano contro il Positivismo.
Certo è che tale critica interessò ben presto filosofi e politici. Difatti è all’inizio del
‘secol nuovo’, avviatosi sotto ben altri auspici rispetto alla chiusura del precedente, che il rifiuto dei presupposti positivistici si concretizza in movimenti e posizioni alternative più sostanziose e sensibili alle suggestioni esercitate dalle correnti filosofiche europee, marcatamente spiritualistiche, come l’intuizionismo di Bergson o il pragmatismo approntato da William James. Il nuovo idealismo di Benedetto Croce e gli atteggiamenti irrazionalisti e eversivi di una variopinta schiera di letterati che, raccolti intorno alle riviste fiorentine Lacerba e Il Leonardo si dichiaravano antipositivisti, antisocialisti,
161 Cfr. N. Bobbio, “Profilo ideologico del Novecento”, in E.Cecchi - N.Sapegno (a cura di), Storia della letteratura..., pp. 11-126, p. 36.
162 Cfr. G. Oliva, I nobili spiriti. Pascoli, D’Annunzio e le riviste dell’estetismo fiorentino, Venezia, Marsilio, 2002, p. 144.
antidemocratici, costituirono i frutti più vistosi di quell’irrazionalismo via via radicatosi negli ambienti intellettuali italiani. Tuttavia tali manifestazioni sono ben lontane dal poter istituire una linea di continuità con le esperienze precedenti che abbiamo definito decadenti. Gli esponenti della cultura primonovecentesca ne mettevano in rilievo lo scarto e cercavano di reagire alla dimensione tutta estetica a cui era stata ridotta la critica antipositivista nel suo primo apparire. Sempre maggiore era la consapevolezza con cui si guardava alle nuove correnti della filosofia dell’irrazionalismo. Cresceva la maturità intellettuale dei protagonisti della scena culturale e ci si allontanava gradualmente dalla tradizione classicistica fino a rompere di netto con tutta la violenza iconoclastica delle avanguardie. Infine diventava sempre più ineludibile il senso di disagio provato dall’intellettuale piccolo-borghese alle prese con una società in continua trasformazione.
Ci preme a questo punto però sottolineare il fatto che la cultura in Italia, talmente occupata da quella “grande bufera”, come l’ebbe a definire Bobbio, scatenata contro l’esile Positivismo nazionale, si manteneva al margine della “rivoluzione intellettuale”163 che si veniva attuando tra l’Otto e il Novecento nel quadro europeo e che elaborava in termini concreti la consapevolezza di un mutamento in atto a più livelli. Occorre infatti distinguere nella convulsa svolta del secolo tra antipositivismo e postpositivismo. Linee di tendenza che accomunano le diverse culture europee dell’epoca e che, pur sovrapponendosi a tratti, ebbero caratteri ben distinti164.
Riportandoci nell’ambito italiano del periodo tra gli anni Ottanta dell’Ottocento e i primi del Novecento, va detto che l’incidenza su letteratura e filosofia del pensiero che muoveva dalla rivoluzionaria rottura delle certezze positivistiche fu minima;
163 L’espressione è tratta dal saggio dello statunitense Stuart Hughes dove si traccia un’interessante descrizione di quegli intellettuali europei che, concentrando la loro attività nell’arco di quarant’anni (1890-1930), “provide the fund of ideas that has come to seem most characteristic of our own time”. Lo studioso riconosce nel decennio degli anni Novanta quella reazione contro il Positivismo che costituisce appunto una intelectual revolution ed è fondamentale per il profondo cambiamento di mentalità che si produce a cavallo dei due secoli; cfr. H. Stuart Hughes, Consciousness and society. The Reorientation of European Social Thought. 1890-1930, London, Harvard University press, 1983.
164 L’uno, di cui abbiamo già nominato qualche figura rappresentativa, veniva innescato dalla critica sul razionalismo totalizzante. Alla visione oggettiva del reale se ne contrapponeva una trascendentale che travalicava i limiti imposti dal materialismo e dai metodi della scienza ed esigeva ben altri strumenti euristici e nuove vie di accesso a una realtà autentica, profonda, misteriosa. L’altro invece spostava il foco dell’attenzione dall’oggetto da conoscere al soggetto, ovvero affrontava il problema non già dell’entità del reale quanto della coscienza che percepisce. Il rapporto tra io e mondo quindi diventava talmente problematico da indurre a dubitare che si potesse anche solo formularne una sintesi totalizzante. Tale dubbio cagliò nella consapevolezza del fallimento, dell’impossibilità di approdare a una qualsivoglia certezza esistenziale. Si fece palese l’idea di un mondo privo di un centro assoluto di riferimento e, di conseguenza, senza senso. Trapelano da considerazioni del genere le idee filosofiche del nichilismo, della fenomenologia di Husserl, dell’esistenzialismo di Heidegger. Si verificava insomma quanto aveva precocemente vaticinato Nietzsche nei suoi scritti filosofici: la scoperta dell’impossibilità di conoscere il significato dell’universo e delle vicende umane.
l’assimilazione fu posteriore. Non si ebbe un coinvolgimento immediato e diretto nello straordinario rinnovo dei criteri conoscitivi, nelle nuove ricerche filosofiche che ribaltavano la visione del mondo e dell’uomo riducendo gli antichi schemi metafisici a un mucchio disordinato di fragili congetture discordanti. Le opere di Freud così come i nuovi modelli teorici matematici e fisici vennero comprese e fatte proprie solo successivamente portando a un cambiamento radicale degli stessi parametri dell’attività intellettuale.
Per quanto riguarda comunque la nostra sfera d’interesse, gli autori che giunsero a maturità artistica nel periodo compreso tra la fine Ottocento e l’inizio Novecento ebbero piuttosto a che fare con gli esiti deteriori dell’avventura risorgimentale, con il gretto determinismo della mentalità positiva, con la subordinazione della creatività artistica al
“vero”. In un contesto storico ed ideologico quale si è cercato di descrivere, l’antipositivismo idealistico, la mistica dell’ineffabile e dell’irrazionale, la militanza vitalistica e il primato dell’azione improntavano gli atteggiamenti dei nuovi scrittori e si riflettevano sulla loro scrittura, sui loro mondi immaginari, conferendole un carattere peculiare e riconoscibile. Si rispose perciò alla mediocrità del presente, alla percezione della decadenza in atto ora in chiave estetizzante e superomistica (come nel caso di D’Annunzio), ora mistico-spiritualeggiante (con la ‘teoria spiritualista dell’evoluzione’ di Fogazzaro) ora con il richiamo alle cose umili (espresso attraverso il linguaggio
‘pregrammaticale’ del fanciullino di Pascoli). L’artista si riappropriava di una “nobiltà spirituale” che tradiva l’ansia di restituire prestigio sociale alla propria attività artistica e l’operazione di ripristino del ruolo tradizionale del vate.
Detto ciò non va dimenticato che parallelamente esisteva una variegata schiera di personalità che pur lontana da programmi definiti animò la scena letteraria di quel ventennio. Da uno sguardo d’insieme si può notare che la reazione alla poetica veristica fungeva da stimolo per la ricerca di nuove poetiche, di nuovi mezzi espressivi, di nuovi temi e motivi, fortemente suggestionata d’altra parte dalle coeve esperienze artistiche europee. Se tali erano i segni inequivocabili di un cambiamento che portava verso una nuova fase artistica, quella appunto del “Decadentismo”, va detto che la difficoltà di riconoscere un significato culturale coerente e organico si ripete stavolta sul versante della poetica. Molti studiosi sono convinti, e ne sono convinta anch’io, che si debba parlare di multiformi e a volte inconciliabili programmi artistici. Malgrado ciò questi vanno ad integrare una possibile poetica del “Decadentismo” italiano, debitrice nelle sue linee generali delle nuove soluzioni artistiche escogitate oltralpe, alcuni caratteri costanti che compongono un’estetica tutta particolare.
Vediamo alcune delle motivazioni estetiche che accomunano le esperienze letterarie, prosistiche e liriche, degli scrittori decadenti e che plasmano, rinnovandoli, i nuovi strumenti espressivi. Influisce profondamente sulla concezione dell’arte la questione cruciale del rapporto tra realtà interiore e realtà esterna, tra soggetto e oggetto, che muove dalla prospettiva trascendentale che scardina l’immagine deterministica e materialistica del mondo fenomenico. Di conseguenza la realtà autentica si trova al di là delle apparenze e solo può essere avvertita da un occhio privilegiato, interiore, di cui è dotato l’artista.
Questo diventa tratto distintivo della sua speciale sensibilità dove l’arte si fa strumento esclusivo di conoscenza ed espressione del mistero, dell’ignoto occultato dietro il mondo tangibile. Si avrà quindi una svolta antimimetica nelle arti che si rifletterà a livello tematico e stilistico. Verrà privilegiato l’uso evocativo, allusivo e analogico della lingua, mentre la crisi dei modelli stimolerà un sempre più incisivo sperimentalismo delle forme letterarie.
Illustrate le coordinate estetiche all’interno delle quali si orientarono gli scrittori tra l’Otto e il Novecento, il termine “Decadentismo” designa inoltre il capitale lavoro di rottura e rinnovamento su diversi fronti; non solo quello della consuetudine letteraria tradizionalista, ma anche quello delle norme del Realismo-Naturalismo. In questo senso fondamentali saranno i contributi di autori come Antonio Fogazzaro, Giovanni Pascoli, Gabriele D’Annunzio, insieme ad altri scrittori che affollano il panorama italiano a cavallo tra i due secoli (non dimentichiamo alcune opere di Pirandello e Svevo), che doteranno il
“Decadentismo” italiano di una fisionomia distintiva propria. Fin qui è stata nostra intenzione cercare di tracciare un disegno che, il più coerentemente possibile, potesse restituire l’immagine di una certa unità culturale del periodo. Rimandiamo alla seconda parte della tesi l’analisi specifica di autori ed opere che, a nostro avviso, furono particolarmente rappresentative delle linee poetiche riconducibili al “Decadentismo”
italiano.